L'apologia del fascismo è un reato. Lo dice la legge, quella del 20 giugno 1952, nota anche come "legge Scelba". Dovrebbero saperlo tutti, anche se a qualcuno fa ancora comodo ignorarla. Lo sanno bene gli amici di Renato Biagetti, ultima vittima di un agguato ispirato dalla cultura neofascista, studenti degli atenei della capitale riuniti, ieri mattina, in un'assemblea pubblica, presso la facoltà di lettere e filosofia di Roma 3, promossa dalla Rete antifascista metropolitana ed assurdamente non autorizzata dalle istituzioni universitarie. Sono i ragazzi dei collettivi a cui è stata negata la possibilità di usufruire di un'aula per lo svolgimento di una conferenza stampa nella quale avrebbero voluto semplicemente comunicare la volontà di difendere la memoria di Roma, il suo passato di Resistenza, il suo presente di lotte. Il tutto in prossimità di una data, il 28 ottobre per la quale qualcuno, e il vero orrore forse è proprio questo, pensa ci sia ancora da festeggiare. Parliamo, ovviamente, delle organizzazioni di estrema destra, che pur non avendo ottenuto permessi (grazie soprattutto all'attività della rete universitaria dei movimenti) tenteranno di commemorare una delle pagine più indegne di questo paese. Ecco, la storia parte da qui: gli studenti chiedevano solo di poter promuovere delle iniziative che contrastassero un simile gesto. Lo dicevamo: non hanno ottenuto un'autorizzazione. Ma non si sono arresi: hanno aperto l'assemblea in un'aula troppo piccola per i numerosi partecipanti (oltre 200) e si sono spostati poi lungo il corridoio dell'edificio. Seduti sulle scale, per terra, appoggiati alle pareti: l'importante per loro è discutere. Parlare di iniziative che coinvolgano tutte le forze politiche e sociali, tutti i cittadini democratici, per togliere spazio ai neofascisti nella città. Insieme, tra gli altri, a Giulio Calella, dei Giovani Comunisti di Roma, Andrea Catarci, presidente dell' XI municipio e Nando Simeone, vicepresidente del consiglio provinciale. I ragazzi pensano ad una piazza piena dei contenuti delle loro lotte, ad installazioni audio e video, interventi musicali, dibattiti in cui approfondire temi come il precariato, la lotta per la casa, i diritti per gli immigrati, la memoria, il femminismo, il diritto alla libera scelta sessuale. E la loro azione, lo sottolineano con forza, non è rivolta solo a contrastare i fascisti, ma anche a richiamare alle proprie responsabilità le istituzioni universitarie e chi governa la città. Negli atenei, infatti, così come, più in generale, negli altri luoghi pubblici, la strategia utilizzata dalle destre è piuttosto chiara: un iniziale approccio pseudodemocratico - per avvicinarsi alle istituzioni ed entrarne a far parte - e poi, dimenticata qualsiasi cosa faccia minimamente riferimento alla democrazia, far vedere di che pasta sono, una miscela di violenza, minacce, xenofobia, razzismo. Di tutte quelle cose di cui, di nuovo, la legge parla come di gesti di ricostruzione del «disciolto partito fascista». Perseguibili penalmente. Uno sputo, insomma, a tutto ciò che cade sotto la parola "libertà". Dimostrazione ne sono le decine di aggressioni nella città, alimentate direttamente o indirettamente da organizzazioni neofasciste, e, non ultimi, gli episodi verificatisi nei giorni scorsi presso il liceo Mameli (condannati anche dall'Uds) dove due aderenti alla lista "Blocco studentesco", dichiaratamente neofascista e collegata alla Fiamma tricolore, hanno aggredito due coetanei rompendo loro il setto nasale a suon di pugni e di testate. I ragazzi seduti sulle scale, quelli appoggiati ai muri, quelli a cui è stata negata un'autorizzazione non ci stanno. E non approvano nemmeno l'"equidistanza" con cui i centri sociali ed i covi "neri" sono trattati, come si assistesse ad un'opposizione tra bande rivali vista e rivista in numerosi film. Il problema, è evidente, non è questo. Ma riguarda una scelta progettuale di vita, fatta per i primi di impegno sociale, per i secondi di negazione di ogni libertà e di incostituzionalità. Per questo l'emergere di organizzazioni e culture neofasciste sembra un'emergenza ben più reale dei writing sui muri e delle bottiglie di vetro che tanto preoccupano l'amministrazione comunale. Dunque è d'obbligo: i comitati studenteschi invitano anche il sindaco a manifestare con loro. E con tutti gli altri che hanno già aderito all'iniziativa: Prc, circolo Mario Mieli, Rdb, Cobas, Infoxoa, i centri sociali romani. Perchè ora, non si è più nel momento del silenzio. Il silenzio in queste situazioni è colpevole. Per questo hanno indetto una manifestazione, sabato prossimo, a piazza Vittorio, alle 14. Proprio nel quartiere più multiculturale di Roma. Come sempre, «con Renato nel cuore».