Sono gli occhi di Dario Biagetti, il fratello di Renato, ad aprire il corteo. Due occhi sereni e un sorriso dolce, pieno di gratitudine, per i compagni, i suoi compagni e i compagni di Renato. Ieri erano tutti lì, tutti a Fiumicino, per dare l'ennesimo saluto all'amico morto ammazzato a due passi dal luogo del corteo: «Sono arrabbiato, disperato, stanco, svuotato e commosso - ci dice Dario -. Ho passato gli ultimi cinque giorni a giocare a rugby, il mio sport e lo sport di mio fratello. L'unico modo per non pensare al fatto che Renato non c'è più. Per non pensare a quella notte maledetta».
Renato è stato accoltellato la notte del 27 agosto. Neanche un mese è passato da quella "notte maledetta". Sulla spiaggia di Focene è appena finita una festa. Sono le 5 del mattino e quasi tutti sono andati via. Non Renato, lui è lì, "stravaccato sulla spiaggia", come dicono gli amici che erano con lui, a godersi gli ultimi momenti di quella serata. E' ora di andare. Lungo la strada si avvicina una Golf grigia. Due voci brusche ed aggressive chiedono a Paolo, l'amico di Renato, se la festa è finita. Un pretesto per cercare la rissa: «Siete di Roma? Tornatevene a casa». I due escono dalla macchina e iniziano a colpire Renato e Paolo con un bastone. Arriva anche Laura, richiamata dalle grida. Non appena cerca di difendere gli amici, viene colpita al volto. Renato allora interviene ma poco dopo cade colpito da tre pugnalate al petto. Alle 11.30 del 28 agosto Renato muore.
Per questo, per questa aggressione, ieri Fiumicino è stata invasa dai compagni di Renato. Anche da chi non lo conosceva. Per questo è qui anche Dario, suo fratello, che è sul furgone che regala musica e parole a Renato e a tutti quelli che oggi sono qui. E' sul furgone impegnato a mettere a posto fili, cavi e microfoni. Proprio quello che faceva Renato in queste occasioni.
Tutt'intorno c'è una Fiumicino sonnacchiosa. La cittadina sul litorale romano non capisce bene cosa succede. Gli abitanti sono stati avvertiti, allarmati, da quest'invasione. Molti negozianti, la gran parte purtroppo, hanno tenuto le serrande abbassate. Arrivano i no-global, dicono in città. Arrivano per quel ragazzo morto, morto per quel litigio.
«Ma Renato non è morto per un semplice litigio». Non ci sta Luca di Acrobax, uno dei compagni piu vicini a Renato. «Non è morto per una rissa tra balordi, come hanno titolato molti giornali. Dobbiamo avere il coraggio di guardarle in faccia le cose; il coraggio di capire cosa sta succedendo intorno a noi. Certo non è un'aggressione fascista organizzata. Ma allora mi chiedo cosa siano, quali siano, le aggressioni fasciste. Se due idioti con la celtica stampata sul braccio ammazzano un ragazzo a coltellate solo perché è diverso da quello che vedono tutti i giorni, solo perché viene da un concerto delle "zecche", allora, cosa abbiamo di fronte? Io so solo che Renato non c'è più e non ci sarà mai più. Non me ne importa niente - continua Luca - se a quei due staranno due anni o vent'anni in galera. Oggi Renato non è qui.»
Ed è questo il senso di questa manifestazione, sbattere in faccia la realtà dei fatti a chi fa finta di non voler capire, di non voler vedere. E sono le parole dello striscione che apre il corteo a dare il senso della presenza di tutti questi ragazzi: «Usa il cervello, butta il coltello. Rifiuta la sottocultura del fascismo». «Bisogna capire il brodo in cui nasce e in cui si moltiplica quest'ideologia dell'odio - continua Francesco Caruso di Rifondazione, anche lui qui a dare la propria testimonianza - capire e contrastare questa intolleranza e nello tesso tempo non rinunciare agli spazi di agibilità politica». C'è anche Daniele tra i tanti ragazzi presenti a Fiumicino. «Sono qui con mia madre e mio padre. Conoscevo Renato, e sono qui per lui». «E' importante esserci - sottolinea suo padre Claudio -. Continuiamo a far finta che tutto va bene, che tutto è tranquillo e poi, invece, succedono queste cose. Non è stata una rissa, è ridicolo darsi questa spiegazione. C'è molto di più, sotto. C'è una tensione che trova sfogo nella violenza. Io non ce la faccio a far finta di niente. Per il resto, che dire? Ognuno se la vedrà con la propria coscienza».
Nel frattempo, il corteo sfilava lungo le vie di Fiumicino. Ben presto, la gran parte dei cittadini si confonde con i "violenti dei centri sociali". Una sconfitta per chi aveva seminato paura per chi, in modo grottesco e in mala fede, aveva messo in guardia i cittadini.
«Io proprio non capisco - ammette anche un funzionario di Polizia di Fiumicino - questo posto è sempre stato un posto tranquillo. Un'isola di pace. Dobbiamo stare attenti a non sottovalutare questi segnali. Sono campanelli d'allarme che devono mantenerci vigili. Quel ragazzo lì, Renato, poteva essere mio figlio. Non dobbiamo abbassare la guardia».