Un altro appuntamento per non dimenticare, per bloccare sul nascere e respingere qualsiasi tentazione che minimizzi o allenti l'attenzione sull'omicidio brutale di Renato Biagetti. Per questo alle quattro e mezza di oggi, la darsena di Fiumicino sarà riempita dai compagni di Acrobax, dagli amici di Renato e da tanti altri ragazzi che testimonieranno la vicinanza al fratello che hanno perso per sempre. C'è soprattutto l'urgenza di far chiarezza su un omicidio tanto disumano e ancora tanto oscuro, e la volontà di raccogliere le idee di Renato per portale avanti e renderle vive. Per sempre.
Non ci stanno, gli amici, a far passare la morte di Renato come un'aggressione di due balordi che quella notte lì, la notte del 27 agosto scorso, hanno deciso, chissà per quali motivi, di accoltellare al cuore Renato e ferire altri due ragazzi che erano li con lui. Una notte di festa, una dance- hall sulla spiaggia, che si è trasformata in omicidio.
Ed è per questo che non ci stanno a relegare questo assassinio come un fatto di mera cronaca nera. Un'idea ripresa e ribadita da Luca dell'Astra che ieri era nella piazza del Campidoglio di Roma, nel cuore della capitale, per presentare alla città intera la manifestazione di oggi per Renato. Sbattergliela in faccia, a questa capitale sonnacchiosa, la verità di quello che succede intorno a lei.
«Certo - dice Luca - forse non è un delitto politico nel senso stretto del termine. Ma è un omicidio che viene dritto da un'ideologia dell'odio. E oggi saremo a Fiumicino proprio per riprenderci quella città. Per testimoniare la nostra presenza e donare a Renato un fiore, un fiore che non è solo un ricordo ma che rappresenta la volontà di proseguire un cammino. Il suo e il nostro cammino».
Anche Giulia di Acrobax, il centro sociale che frequentava Renato, ha qualcosa da dire: «Sono convinta che c'è una destra, a Roma e in Italia, che nutre un clima di violenza di intolleranza e di odio. Tante, troppe aggressioni - continua Giulia - troppi segni di una situazione che sfugge di mano e che non viene compresa. Molti sottovalutano questa condizione e questi sono i risultati: torni da un festa e ti ritrovi con una coltellata. E ti ritrovi morto».
Nel frattempo le indagini vanno avanti coperte dal massimo riserbo. A quanto è dato sapere, i due ragazzi che hanno ucciso Renato e che si sono costituiti, parlano di un'aggressione subita da cui si sarebbero difesi. Difficile immaginare una situazione del genere. Difficile soprattutto per chi conosceva Renato, la sua disponibilità e la sua dolcezza.
Ma quasi tutti i giornali hanno seguito questa linea. Sono passati oltre e hanno presentato l'omicidio di Focene come «una lite tra balordi», «un battibecco finito male» e così via. Per questo gli amici e le amiche di Renato hanno voluto sottolineare, ne sono stati costretti, che la morte di Renato non è stato il tragico risultato una lite tra balordi, ma un'aggressione in piena regola.
«E allora bisogna chiedere conto ai mandanti», sottolineano i suoi compagni e i suoi amici. Chiedere conto a chi semina odio a chi indica i "bersagli". Lo stesso appello lanciato qualche giorno fa, dalle pagine di questo giornale, da Haidi Gaggio Giuliani, una donna segnata a vita da questa stessa violenza e dall'odio: «Dobbiamo chiedere conto a chi volta la faccia dall'altra parte, a chi non vuole vedere né capire da che parte sta la violenza, e si trincera con supponenza dietro a un atteggiamento di falsa equidistanza. Dobbiamo chiedere conto a loro della vita di Renato, che non c'è più». E domani sarà l'occasione per ricordare Renato, per rendere omaggio alla sua vita e per chiedere conto: «Gli amici di una vita, quella di Renato, qui attorno al tavolo della tristezza, se lo ricordano sempre sorridente e si domandano addirittura se qualcuno l'abbia mai visto incazzato. Partecipando con lo stesso entusiasmo ai momenti tragici come a quelli di gioia estremi ci ha insegnato come incanalare la nostra rabbia, affinché ci scorra attraverso le vene e ci renda più consapevoli. Perché la nostra risposta non sarà violenta; la sua non lo è mai stata».