Caro Walter, mi è dispiaciuto non vederti al funerale di Renato, il ragazzo aggredito ed ucciso a Focene. Renato era un ragazzo pieno di vita, non violento, curioso, allegro che ha cercato di far ragionare persino il suo aggressore. Senza esito purtroppo. Conosco la tua sensibilità e l'attenzione che metti nell'occuparti dei cittadini della nostra comunità, per questo la tua mancata presenza al funerale, ma anche il mancato omaggio alla famiglia o un passaggio presso la camera mortuaria, mi hanno colpito. Eppure è stata una cerimonia laica di rara intensità tenuta al centro sociale Acrobax, 500 persone, uno spaccato importante della Roma democratica e popolare: c'erano gli amici di Renato che hanno scritto una lettera bellissima sull'amicizia e la non violenza, c'erano i giovani dei centri sociali, c'erano gli All Reds, la squadra di rugby nata all'ex cinodromo, e poi ancora le mamme della Montagnola (quartiere di Renato), i pugili della Team Boxe XI Municipio, c'era tanta musica, da Ravel alla techno, alle signore con il velo in testa a cantare una emozionante Ave Maria, gli scout, c'era Laura, la compagna di Renato, che gli ha dedicato uno scritto di Leonardo da Vinci sulla fenice, c'erano i dipendenti comunali colleghi della mamma Stefania, il Presidente dell'XI Municipio Catarci, tanti consiglieri municipali e comunali, deputati e senatori di rifondazione, e poi tanta gente qualunque che si è sentita chiamata in causa da un orribile omicidio e che per un istante si è fatta comunità. Spesso ci è capitato di ragionare insieme su come essere o fare comunità senza cadere nella trappola dell'indistinto, insomma di come far crescere un tessuto democratico e civico nella nostra metropoli. Per questo proprio non capisco la tua assenza, nonostante la tua delega a Dante Pomponi, assessore di Rifondazione, che ci sarebbe stato comunque. E allora vorrei provare a ragionare con te di tre aspetti. Il primo riguarda la cautela con cui ancora oggi vengono trattati i centri sociali, la riproposizione pigra di schemi e mentalità che non permettono di comprendere fino in fondo la natura di questi "istituti di autogoverno locale". I centri sociali sono attraversati da persone come Renato, vitali, curiose, in cerca di vocazione sociale, capaci di cura e di attenzione verso l'altro da sé.
A volte ci puoi trovare dei veri e propri "arcangeli", per dirla con Paco Ignazio Taibo II, che, senza furori ideologici, costruiscono giorno dopo giorno lacerti di altro mondo possibile occupandosi degli ultimi, di quelli che i servizi sociali pubblici neanche vedono. E spesso lo fanno con allegria sapendo che l'essere si nutre con il dare e che il dono si alimenta di passioni ed umanità.
Arcangeli talmente generosi che ci chiedono di elaborare insieme un lutto immenso, ci chiedono di non lasciarli soli per evitare un'escalation della violenza politica in città. Caro Walter, in fondo la domanda è semplice, perché, pur girando Roma in lungo e in largo, non ti è mai venuto in mente di visitare uno di questi luoghi speciali dove spesso si resiste e si progetta una periferia dal volto umano?
La seconda considerazione riguarda l'ossessione dell'equidistanza, del Sindaco di tutti; ma come si fa a non vedere la differenza tra un centro sociale che accoglie i migranti, che fa socialità che costruisce forme di democrazia di prossimità e le sedi dei neofascisti che da un paio d'anni scorrazzano per Roma mettendo a segno una serie impressionante di aggressioni, dal Forte Prenestino alla comunità ebraica, dal Santa Maria della Pietà al centro sociale La Strada? Roma è certamente una città che esprime un livello di solidarietà, di partecipazione e di impegno volontario molto forte, proprio per questo dovremmo condannare in maniera ferma la violenza neofascista che rischia di avvelenare il clima politico e sociale della città. L'ultima considerazione riguarda gli aspetti più sociali della vicenda, aspetti che rimandano alla produzione di stili di vita e disvalori che attraversano la metropoli e la sua sconfinata periferia, forme quotidiane di microviolenza e di insofferenza che forse hanno a che fare con la città, le sue distanze, l'area metropolitana fatta da ex paesini che diventano dormitori, l'assenza di luoghi di aggregazione sociale, la mancanza di istituzioni informali in grado di valorizzare i talenti e i sogni che i giovani esprimono, la precarietà esistenziale, la possibilità di poter partecipare alle scelte che riguardano il proprio quartiere per alimentare la coscienza di luogo. So che Roma è una delle metropoli con il minor tasso di criminalità, so che stiamo facendo molto per affrontare queste contraddizioni, ma so anche che spendiamo sempre meno per le periferie, che non riusciamo ad aprire luoghi per l'autogestione giovanile, che il nostro welfare riesce a mala pena a garantire l'assistenza e non è in grado di sviluppare forme attive di inclusione sociale, che il decentramento è fermo e che non è previsto un euro in bilancio per la delega alle politiche della memoria pur avendo in Sandro Portelli un eccellente delegato. Caro Walter ne vogliamo parlare? Vogliamo affrontare le luci (bellissime quelle della notte bianca che vestiranno il Gazometro) e le ombre della città ben oltre lo stereotipo del modello Roma, della Roma felix, misurando la distanza, spesso abissale, tra centro e periferia? So che Roma è una città in salute ma proprio per questo dobbiamo evitare di nascondere la polvere sotto il tappeto, soprattutto quando la polvere è rappresentata da migliaia di giovani delle estreme periferie sospesi tra integrazione e disperazione. Proprio come gli assassini di Renato.