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Ecco perché Walter ha paura di noi
Acrobax: la nostra è una cultura che produce solidarietà e amore
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)
3 settembre 2006

Ieri durante la manifestazione gli amici di Renato hanno consegnato a "Liberazione" questa lettera aperta, indirizzata a Massimiliano Smeriglio, segretario romano Prc, che dalle pagine del nostro quotidiano chiamava in causa il sindaco di Roma, grande assente ai funerali del giovane aggredito e ucciso a Focene.

Caro Massimiliano, apprezziamo molto la lettera che hai fatto pubblicare nel numero del 2 settembre di Liberazione; le tue riflessioni sono un buon punto di partenza per iniziare ad aprire un vero dibattito su questo problema, per iniziare a scalfire quell'assordante silenzio che riecheggia nella città di Roma, dopo la morte di Renato.

L'abbiamo ripetuto più volte in questi giorni; non è stata una rissa tra balordi ubriachi a spezzare la vita di uno di noi, ma una vera e propria aggressione a sangue freddo. Non è stato un agguato squadrista perpetrato ai danni di una struttura o di un militante qualsiasi. Questo è il dato da cui partire e quello più inquietante. Di fronte ci sono due ragazzi, uno con il sorriso, la voglia di vivere, di ascoltare la musica, di amare e di aiutare l'altro, anche e soprattutto se diverso. Dall'altra abbiamo un ragazzino talmente carico di odio da riuscire a trovare la forza per infliggere otto volte consecutive colpi mortali. Renato non era un militante, ma era sicuramente uno di noi.

La nostra è una cultura che produce solidarietà e amore; la stessa in cui è nato e cresciuto Renato. Il suo assassino è invece evidentemente cresciuto in una cultura che fa dell'odio e dell'aggressione al diverso, qualsiasi esso sia, la sua modalità di relazione e di approccio alla vita. A diciannove e diciassette anni si sta appena iniziando a scoprire la vita, con la curiosità propria degli adolescenti, non ci si arma di odio e lame per troncarne un'altra. Purtroppo, e dovrebbe ormai essere sotto gli occhi di tutti, negli ultimi anni la destra è riuscita a creare un clima politico, culturale e sociale in cui a far da padrone sono solo aggressioni e violenza, in cui nessun diverso è accettato, ma messo alla gogna. Tra il clima politico - culturale e la violenza che anima sempre più spesso le strade di una città come la nostra, esiste una cerniera che, nel caso di Roma, è perfettamente rappresentata da quelle che vengono definite "occupazioni non conformi". Spazi foraggiati dalla destra istituzionale che vengono equiparati in tutto e per tutto agli spazi sociali, la cui unica differenza risiede nell'appartenenza politica: gli opposti estremismi. Ma noi sappiamo che non è così. Sono spazi chiusi, covi che alimentano una cultura della morte, attraverso la produzione di forme di socialità e relazione della violenza, della sopraffazione e dell'intolleranza. Ne abbiamo avuto la più dolorosa prova. C'è una responsabilità politica da parte dell'amministrazione di questa città che dialoga e offre spazi a chi è portatore di questa cultura della morte. Lo fa attraverso un modello di "gestione dei conflitti" che si fonda su di una presunta equidistanza e su di una falsa equiparazione. Ecco perché sembra così difficile anche solo ammettere che la morte di Renato è frutto di un'aggressione e non l'epilogo di una rissa. Ci chiediamo se lutti così dolorosi siano già stati preventivati come prezzo da pagare per una "gestione democratica" della città (nel Lazio sono state ventisette le aggressioni in otto mesi).

Se così non fosse ci aspettiamo che tutti prendano la parola per denunciare quest'aggressione, rompendo quest'assordante silenzio.

L. o. a. Acrobax