Leggiamo gli articoli su Renato ma sembra che non parlino di lui né di quello che è realmente accaduto. Allibiti e sconcertati dai mezzi di informazione nazionale abbiamo sentito la necessità di parlarvi davvero di Renato e di quello che ha vissuto.
Su "l'Unita" del 29 agosto 2006 una giornalista ha scritto un articolo sconcertante che fornisce una ricostruzione erronea dei fatti, non capiamo come la verità possa essere travisata in questo modo: non è stata una rissa è stata un'aggressione. Su "la Repubblica" del 28 agosto 2006 è stato scritto «rissa tra balordi»: non è stata una rissa, è stata un'aggressione.
Quando li abbiamo incontrati a casa di Renato, abbiamo chiesto ai giornalisti di non parlare di rissa, ma hanno deciso ugualmente di interpretare la storia a modo loro; Renato aveva il valore della non violenza: non è stata una rissa è stata un'aggressione.
Nessuno si preoccupa invece di sottolineare che c'erano due ragazzi armati di coltello, alle cinque di mattina, parcheggiati in macchina fuori da una dance hall al termine di una strada chiusa, senza neanche essere andati alla festa: questa non è stata una rissa, è stata un'aggressione. Renato non ha nemmeno cercato di difendersi, ha chiesto al suo aggressore soltanto di «levare quella lama», di rendersi conto di cosa stesse facendo.
Non è stato un tentativo di rapina, non è stata una rissa tra balordi, è stata un'aggressione.
I testimoni e le deposizioni confermano, lo stesso Renato prima di morire ha raccontato cosa gli è accaduto: è stato aggredito.
Noi non c'eravamo ma sappiamo, abbiamo le testimonianze che è stata questa la reazione di Renato, ce lo raccontano gli anni di vita passati insieme che sono l'unica vera testimonianza che noi possiamo offrire.
Qualche anno fa, ad Acrobax, un ragazzino gli ha lanciato un posacenere in fronte causandogli una ferita da 5 punti e nonostante ciò non eravamo noi a calmare lui ma lui a calmare noi: «Vabbé dai non è successo niente, l'importante è questo» ci ha detto.
Noi sappiamo di Renato che odiava la violenza, aveva il valore della vita e la sua scelta politica è stata sempre quella di rispettarla ad ogni condizione nelle sue azioni di tutti i giorni. Non era un attivista politico né era un militante ma sceglieva di frequentare posti in cui il suo impegno sociale era condiviso e poteva esprimersi con la collaborazione partecipata cosi come con il divertimento.
Non vogliamo che il suo ricordo venga strumentalizzato, non vogliamo che il suo ricordo sia utilizzato cioè come uno strumento di potere. Vogliamo che tutti sappiano che quello che è successo a Renato sarebbe potuto capitare a chiunque. Vogliamo che l'assurdità della realtà in cui viviamo vi colpisca come una pugnalata in petto senza possibilità di nascondersi dietro generalizzazioni di circostanza utilizzate dai media del tipo «era un frequentatore di centri sociali». Renato era anche, anzi sopratutto, qualcos'altro. E noi lo sappiamo. E sabato sera era andato a ballare al "Buena Onda" a Focene con Laura e Paolo a differenza di quei due ragazzi che stavano fuori dalla dance hall con un coltello in tasca.
Tutto ciò ci lascia disorientati, siamo arrivati ad un punto in cui la violenza gratuita ti aspetta in macchina per non farti ritornare a casa mai più. Gli amici di una vita, quella di Renato, qui attorno al tavolo della tristezza, se lo ricordano sempre sorridente e si domandano addirittura se qualcuno l'abbia mai visto incazzato. Partecipando con lo stesso entusiasmo ai momenti tragici come a quelli di gioia estremi ci ha insegnato come incanalare la nostra rabbia, affinché ci scorra attraverso le vene e ci renda più consapevoli. Perché la nostra risposta non sarà violenta; la sua non lo è mai stata.
Gli amici e le amiche di Renato