Questa lettera parla di: territori, cultura, fascismi, la morte in una sera di festa.
Questa lettera parla a tutti coloro che non riescono a chiudere un occhio.
Roma, come molti altri territori del nostro paese, è da qualche tempo e con una forza significativa, saccheggiata, preda di quelle proposte politiche che usano stereotipi, banalizzazioni, negazione della diversità, autoritarismo, che costruiscono valori e morali basati sulla supremazia. Che, nella fantasie di onnipotenza definiscono nemici tutti quelli che stanno fuori da queste logiche.
La destra sociale e politica ha avuto per molto tempo uno spazio enorme per poter insinuarsi e attestarsi sul territorio romano, sostenuta nella sua avanzata da un'idea di normalizzazione che passa attraverso la riscrittura di una storia che vede i torturatori assomigliare sempre più ai torturati.
Questo strano obiettivo della normalità, o piuttosto della normalizzazione, ha visto e vede alcuni attori protagonisti e altri spettatori.
I protagonisti sono tutti coloro che negli ultimi anni hanno voluto riscrivere pezzi di storia, costruendo nel presente giustificazioni ideologiche per la rifioritura di tutti i fascismi; tutti quelli che hanno alimentato il tessuto per le aggressioni, intimidazioni, limitazioni della libertà di esprimere creatività e opinioni sui corpi come nelle parole; tutti quelli che hanno fatto alleanze con forze politiche di estrema destra per candidarsi a governare questa città.
Quelli che hanno fatto campagna elettorale viaggiando su camionette di camicie nere in giro per la città.
Roma quindi, una città laboratorio di una destra neofascista che qui ha costruito una strategia chiara, decisa. Un laboratorio sociale e politico che crea loghi, slogan, linguaggi e azioni ormai 'normalmente' inclusi e compresi nel suo paesaggio.
Una città che vorremo riconoscere capace di rompere questa normalità tornando a scandalizzarsi, a rifiutare l'idea che è possibile far convivere sullo stesso territorio il museo della Shoa, il mausoleo alle fosse Ardeatine con i covi di organizzazioni neonaziste.
Gli spettatori sono invece tutti quelli che di fronte a questo processo non hanno saputo guardare con la dovuta attenzione.
Agli spettatori si propone una storia, quella della morte di Renato dopo una sera di festa. Un ragazzo di 26 anni aggredito e assassinato all'interno di questo contesto, per mano di questa cultura. Una morte che non ha più bisogno di individuare nel suo assassino il militante neofascista per gridare a un nuovo allarme.
Il silenzio prodotto da questa idea di normalità, l'indifferenza che ha avvolto la città in un clima in cui la diffusione della cultura della sopraffazione emerge dal centro fino alla periferia, ha prodotto morte.
Questa lettera aperta alla città di Roma vuole cominciare ad essere uno spartiacque, una presa di parola di tutti quelli a cui invece non appartiene il silenzio. Che sentono l'urgenza di interpretare questo fenomeno in una chiave sociale, culturale, diversamente politica.
Questa lettera vuole affermare che l'indifferenza non può essere la nostra, che la voglia di vivere e cambiare il mondo significa innanzitutto opporsi a qualsiasi forma di
sopraffazione, ai diversi modi in cui i fascismi si esprimono.
Al primo cittadino di questa città, questa lettera dice che non è possibile governare certe contraddizioni assimilandole, perché 7 coltellate hanno definitivamente seppellito la vostra artificiale normalità.