Trecentosessantacinque giorni senza Renato, uno per ogni minuto trascorso prima che il suo cuore cessasse di battere mica tanto lontano dal luogo delle coltellate fasciste di Focene. Nell'ospedale di Ostia, venti chilometri di strada, dieci in linea d'area, poche decine di minuti per arrivarci in un maledetto mattino di fine agosto. Un anno dopo e una condanna ai due assassini - Emiliani e Amoroso - che sperano nei vari gradi della giustizia italiana che ha pesi e misure diversi e spesso né punisce né educa. L'abbiamo scritto: nessuna condanna restituirà Renato agli affetti di chi lo amava ma quel che desta scandalo non è neppure il dispositivo della sentenza che parla di quindici anni di reclusione bensì l'aria con cui la Politica e i suoi uomini si rapportano a casi simili che purtroppo non sono isolati.
Lo diceva ieri la voce rotta di commozione di due compagne di Biagetti che con pathos hanno lanciato un canto civile alla memoria. In un tramonto rosso e struggente, davanti ai volti attoniti di centinaia di giovani e meno accorsi a portare un fiore sul luogo dello strazio. Basta con le lame infami, basta con l'infamità dei media servili e dei politici carrieristi che minimalizzano fatti gravissimi e nascondono l'inquietante fenomeno del ritorno dello squadrismo assassino. Come negli anni Settanta, peggio degli anni Settanta. Perché l'apologia di fascismo ora è sdoganata sia dai fascisti di ieri cui il Palazzo ha conferito cariche istituzionali e alleanze, sia dai partiti - tutti i partiti sinistra inclusa - che hanno offerto ai postfascisti un pieno riconoscimento. Nel migliore dei casi con la squallida real-politik dei Violante e D'Alema, nel peggiore con l'inerte accettazione d'un revisionismo storico che distorce e trasforma il passato, specie agli occhi dei giovani che quel passato non hanno vissuto.
Proprio nei confronti dei giovani si delineano due tendenze. Una relativamente acculturata, potremo dire sovrastrutturale che coinvolge l'informazione pubblica e privata e taluna editoria anche d'un certo prestigio. Queste danno spazio a un parafascismo, più o meno sfacciato, o denigrano chi l'ultimo fascismo aveva combattuto, come fa Pansa nei suoi scritti di palese propaganda antiresistenziale. L'altro approccio col mondo giovanile avviene in alcuni spazi ricreativi ben individuati di cui le curve degli stadi sono da anni enclavi conclamate. Nessun ministro dello sport o degli interni - governino Berlusconi o Prodi - ha voluto far nulla né vorrà fare nulla di serio per evitare non solo e non tanto che svastiche e croci celtiche sventolino sugli spalti, ma che noti caporioni alla Boccacci circolino e lì facciano proseliti.
Non solo. Ma quando negli ultimi anni addirittura nella capitale-vetrina e trampolino di lancio per le proprie carriere della Grande Politica, i sindaci Rutelli o Veltroni si sono trovati di fronte a iniziative pretestuose della Destra parafascista sono stati al gioco. Accettando e favorendo occupazioni di spazi che, pretestuosamente indicati come centri culturali, hanno tutta l'aria di diventare le nuove Sommacampagna o Acca Larenzia romane. Cioè i luoghi del terrore, i covi da cui partono scorribande armate com'è accaduto settimane fa nel popolare quartiere di Casalbertone. Tollerare questa presenza sul territorio cittadino o addirittura dargli una veste sociale o paraculturale che proprio non ha è un comportamento insostenibile da parte del sindaco in carica. I programmi "culturali" di covi titolati non a caso a un intellettuale che sposò l'ideologia nazista prevedono celebrazioni di razzisti come Evola o rievocazioni delle saghe tolkieniane che al più fanno sbavare i Gasparri e gli Alemanno.
Se l'odio contro il diverso, l'emigrato, il negro, l'ebreo, l'arabo, il giovane rockettaro o reggaesta tout court, l'antagonista, il rosso parte dalle teorie evoliane discusse a Casa Pound - o in qualche programma tivù sponsorizzato da Veneziani - e giunge, passando per le curve dell'Olimpico, sino ai bar e muretti di Fiumicino e Focene i risultati sono quelli mostrati dagli Emiliani e Amoroso. Coltellate, lame per chi non conosce altri argomenti che non siano l'insulto e l'aggressione, sfiorando l'assassinio o portando morte. Quella morte ("la bella morte") di cui è intrisa l'ideologia della sopraffazione del nazifascismo. Quell'odio verso l'umanità che ama, ride, balla, vuol vivere come faceva Renato. E perché Renato resti l'ultima vittima non si può girare lo sguardo altrove. Bisogna avere la forza di denunciare che hanno i suoi compagni, il coraggio di combattere che hanno i veri antifascisti per inchiodare i signori della politica di destra e sinistra alle loro responsabilità. Chiudere i nuovi covi fascisti, disarmare le mani dello squadrismo organizzato e spontaneo con la certezza di una pena che è ancora scritta su una norma della nostra Costituzione.
Enrico Campofreda