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La mamma di Renato: «La nostra lotta contro il silenzio delle istituzioni»
Stefania Zuccari parla del processo e dei progetti per dare vita ai sogni di suo figlio
Checchino Antonini
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)
31 agosto 2007

«Nessuno ce li ridà: Renato, Carlo, Federico, Davide...». Lo sa perfettamente Stefania Zuccari, la mamma di Renato Biagetti, facendo l'appello degli uccisi per strada negli ultimi anni. Ragazzi come il suo, che aveva solo 26 anni e stava tornando a casa dopo una festa reggae su una spiaggia.
E' accaduto il 27 agosto 2006. Un anno dopo, Stefania è tornata da sola su quella spiaggia con girasoli e una poesia per suo figlio. Domani ci tornerà insieme a chi ha condiviso il suo stesso dolore. Che non torneranno quei figli lo ha dovuto imparare anche lei lungo un anno vissuto misurando una vita ormai «completamente distrutta» ma che l'ha vista catapultata sulla scena pubblica assieme agli amici dei suoi figli: «L'unica cosa bella - dice a Liberazione - sono i ragazzi». Perché oltre all'amore a alla solidarietà degli amici di Renato, soprattutto dei ragazzi dell'Acrobax, «c'è stato molto silenzio - racconta Stefania - moltissima indifferenza da parte delle istituzioni». Indifferenza confermata dalla lista delle aggressioni a sfondo xenofobo, sessista e fascista censite dopo quel maledetto 27 agosto.
Un anno vissuto tra l'Acrobax (un ex cinodromo occupato, tra gli altri, dall'altro dei suoi figli e in cui Renato andava a sentire musica e a giocare a pallone) e le aule del tribunale. Per dire del mondo dei suoi figli sceglie le parole della sua migliore amica: «C'è una bellezza che non avrei mai immaginato. E' un mondo pulito, fin troppo vero, con una carica di amore e solidarietà e una voglia di fare che non lo fa somigliare all'Italia». Del processo - s'è appena concluso quello di primo grado al maggiorenne, all'epoca dei fatti, dei due imputati, con una condanna a 15 anni per omicidio volontario - ricorda il carico di tensione, i ragazzi dell'Acrobax straniti a sedere dalla parte dell'accusa, gli sprazzi di verità e le ombre dell'inchiesta. «Manca un coltello - dice - come se fosse stato fatto tutto per far sparire le responsabilità dell'altro ragazzo, quello minorenne». Poi ricorda la rabbia per la sparizione delle ultime parole di Renato, quelle che rilasciò a un carabiniere al suo arrivo all'ospedale di Ostia e che o non furono verbalizzate o fu insabbiato (come non pensare alle molotov della Diaz sparite dall'archivo del tribunale?) il verbale nel corso di un'inchiesta condotta dai colleghi del padre di uno dei due omicidi. E, da un anno, è sconvolta anche dall'ostilità delle famiglie dei due imputati sfiorate nelle aule del tribunale dei minori e di quello di Civitavecchia: «Mai un cenno di compassione se non un debolissimo tentativo, a luglio, da parte di uno dei genitori».
Certo che lo sa Stefania che Renato non può tornare ma, come Hebe de Bonafini e le Madres argentine de la plaza de Mayo, come Haidi Giuliani e Rosa Piro e Patrizia Aldrovandi, anche Stefania vuole che prendano corpo i sogni di suo figlio. Se in Argentina chi ha raccolto la bandiera dei figli desaparecidos reclama il "ritorno con vita", a Roma è nata un'associazione che si chiama proprio "I sogni di Renato" e serve a promuovere la creatività giovanile per combattere il pregiudizio. Ma dall'incontro con gli amici dei suoi figli, Stefania ha avuto anche l'idea, divenuta più forte con gli assalti fascisti a Villa Ada e Casalbertone, di promuovere un cartello di madri che girino le scuole e i quartieri, con i partigiani dell'Anpi, con i centri sociali, a raccontare, a capire come nasca e si diffonda la violenza che ha prodotto, tra gli altri, l'omicidio di Renato. «Che queste fini atroci servano almeno ad aprirci gli occhi». Stavolta Veltroni ha risposto subito, l'ha voluta incontrare e ha promesso di monitorare la situazione. Stefania, per ora, gli vuole credere.