Erano tutti giovani, operai, comunisti. Alcuni erano stati partigiani. Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli. Nomi scolpiti nell'immaginario collettivo da un canto bellissimo di Fausto Amodei. Erano in piazza della Vittoria, sull'onda del 30 giugno genovese, con migliaia di altri lavoratori. Il 7 luglio di cinquant'anni fa volevano contestare il governo Tambroni appoggiato dal Msi. Il prefetto aveva dato ordine di disperdere ogni assembramento, bastava essere in tre per diventare un assembramento. Furono abbattuti come animali dai cacciatori, scriverà Primo Levi. Quattro rivoltelle dei servitori dello stato furono fatte sparire per occultare le prove. Mezzo secolo dopo quella piazza porta il loro nome, anche grazie all'impegno di Prc e Pdci in municipio. Ci sono formine sul selciato a segnalare dove caddero e lo spigolo della chiesa di S.Francesco mostra ancora i segni lasciati dalle raffiche. Quel giorno il vescovo diede l'ordine di chiudere tutte le chiese. Dopo il massacro nessuno ha avuto il fegato di restaurare quel muro. Oggi la città ricorderà i suoi martiri con un convegno ufficiale, una mostra sotto il porticato e un concerto che sarà concluso da Amodei. Ma per l'unica vedova rimasta (Enrica Ferrari, la moglie di Lauro) e per quattro dei cinque orfani e per i fratelli dei martiri non c'è ancora giustizia. Silvano è il fratello di Ovidio che s'era diplomato due giorni prima e sperava di entrare alle Reggiane, come suo padre. A 68 anni deve ancora raccontare l'orrore di quel giorno e la burla di un processo, tre anni dopo, che vedeva alla sbarra il vicequestore di Reggio, un agente e 22 manifestanti. Tutti assolti. Ma la sentenza riconobbe l'«eccesso di spari», ricorda Silvano che l'altroieri ha partecipato al dibattito organizzato dalla Federazione della sinistra - con Claudio Grassi della segreteria Prc e il presidente del Pdci Antonino Cuffaro - su passato e futuro delle lotte operaie e della repressione. Così alle vedove e agli orfani, 18 anni dopo, fu riconosciuto un risarcimento. Ma chi ha dovuto raccontare tutta la vita perché la storia non fosse riscritta da chi coprì gli assassini continua a chiedere la revisione del processo. L'istanza è stata presentata per la seconda volta a novembre. I bene informati dicono che sarà respinta e allora la decisione finale spetterà al procuratore generale della Cassazione. «E speriamo che sappia leggere i vuoti di quel processo», si augura Silvano deluso dai governi (specialmente quelli amici) per non aver mai deciso che una commissione parlamentare si prendesse la briga di scartabellare le carte dei 117 giorni di quel governo infame.
Cinquant'anni di promesse senza seguito. Intanto, ogni 7 luglio sempre meno gente sotto la lapide a ricordare. Eppure quasi tutte le famiglie hanno avuto qualcuno in quella piazza. «Reggio è cambiata - spiega al cronista Annalisa Magri, giovane dirigente del Prc locale - intanto è sempre meno rossa e il modello di welfare emiliano è un lontano ricordo». Quel modello è nato proprio a Reggio all'inizio degli anni '60 grazie a una generazione di giovani amministratori di sinistra. La deindustrializzazione, l'emigrazione interna ed esterna, la globalizzazione hanno mutato la fisionomia della città. La disoccupazione, da queste parti, non è ai livelli italiani, lo dimostra il tasso, il più alto, di immigrati regolarizzati. Ma soffrono i distretti della ceramica e quello metalmeccanico. Ora i tagli di Tremonti stanno per scippare 600 milioni alla Regione, 18 milioni a Reggio e quasi 50 ai comuni della provincia. Tradotto in fatti significa la chiusura delle biblioteche, la perdita di 100 posti negli asili nido e di 300 nelle scuole per l'infanzia che una volta venivano da tutto il mondo a studiarne il modello. Lunedì prossimo tutti i municipi della zona saranno simbolicamente sbarrati da un'enorme X rossa. Sempre ieri i coltivatori reggiani erano al Brennero con i loro colleghi per sbarrare la strada alle mozzarelle blu. E al Teatro Valli, gli industriali con Marcegaglia, incassavano soddisfatti la manovra. Tutto ciò avrà un'eco nelle celebrazioni del cinquantennale. Cgil, Arci e Anpi si sono date da fare per organizzare un cartellone ricco.
«Non bisogna dimenticare quei fatti e non bisogna dimenticare che oggi i postfascisti sono al governo e lo Stato non ha smesso di usare i proprio apparati contro i soggetti sociali più deboli - spiega Grassi a Liberazione - La Federazione di sinistra ci sta riprovando a denunciare la repressione, a ripartire dal conflitto, a rimettere insieme le forze dell'alternativa».