Francesco Renda, siciliano, sindacalista, storico. Un uomo la cui vita è strettamente legata ad una delle stragi più terribili della storia della nostra repubblica, la prima in assoluto di una lunga serie. Stiamo parlando di Portella della Ginestra e Renda, quel lontano 1° maggio del '47, avrebbe dovuto tenere il comizio proprio a Portella. Arrivò pochissimi minuti dopo la strage, diventando così «un superstite indenne solo per caso o per fortuna», come si definisce lui stesso, un uomo la cui vita comunque cambiò radicalmente dopo i colpi sparati contro i lavoratori in festa sotto i monti Cumeta e Pizzuta. Antonio Riolo, dirigente della Cgil Sicilia, ha realizzato una lunga intervista all'anziano professore, pubblicata nel libro Portella della Ginestra e la guerra fredda. I cento anni della Cgil siciliana (Ediesse, pp. 226, euro 12,00), con prefazione di Italo Tripi e postfazione di Guglielmo Epifani. Anzi, le interviste sono tre, la prima e la più lunga dedicata appunto a Portella; la seconda al centenario della nascita del più grande sindacato italiano e della Lega delle Cooperative, con uno sguardo particolare alla Sicilia. Per finire la terza riguarda invece l'autonomia e la storia dello Statuto speciale della regione siciliana.
Ma andiamo con ordine. Collegare la strage alla vittoria del Blocco del popolo in Sicilia il 20 aprile e dunque alla possibilità che l'anno successivo, il 18 aprile 1948, i comunisti e le sinistre potessero arrivare al potere in Italia fu una considerazione dettata dalla logica. Da qui il legame con la guerra fredda che il titolo del libro evoca. «Il 20 aprile - dice Renda nell'intervista - non è più il contrasto fra agrari, mafia e contadini, ma qualcosa da vedere nel contesto che lo stesso Li Causi indica in un invito rivolto ai quadri della federazione comunista di Palermo». In quell'occasione, come riportato nel libro, il leader comunista siciliano metteva in guardia da «una situazione internazionale in cui l'imperialismo americano, di fronte all'imminenza di crisi più gravi di quella del 1929-31, mira ad assoggettare i popoli liberi».
E' in questo scenario, sottolineava sempre Li Causi citato da Renda, che «l'Italia costituisce uno dei principali bersagli della politica di Truman». Fu proprio il leader comunista a fare un'analisi immediata dei fatti di Portella, dandone una interpretazione che poi - come dice Renda - «divenne sentimento comune di tutto il movimento popolare». «Sconfitta sul terreno della democrazia - disse il segretario - e della civile competizione, la casta dominante della nostra isola ha minuziosamente, freddamente premeditato il piano di provocazione e di aggressione contro le sane vive forze che hanno voluto con le elezioni del 20 aprile manifestare il loro profondo deciso desiderio di rinnovamento». Insomma, una reazione feroce alla vittoria delle sinistre in Sicilia. Conversando con Riolo l'ex dirigente sindacale ricorda come le versioni della storia di Portella della Ginestra siano tante: «Ne dovrei fare un lungo elenco a cominciare da quella di Umberto Santino, direttore del Centro di documentazione siciliana Giuseppe Impastato. Ma (...) limitiamoci alle versioni oggi dominanti, che, a detta di alcuni studiosi, sarebbero due antiche, quella di Scelba e Li Causi, e una moderna, quella del professor Giuseppe Casarrubea». Abbiamo già detto riguardo la tesi di Li Causi. Tutta tesa a cancellare la portata politica dell'eccidio fu invece la versione fornita dall'allora ministro degli Interni Mario Scelba, per il quale la matrice della strage era di tipo banditesco e l'esecuzione da attribuire unicamente a Salvatore Giuliano. Una bugia tutta democristiana, che inaugurava decenni di omertà e complicità scudocrociata sulle stragi italiane, se è vero che, come ricorda Renda, «prima di esporla ufficialmente all'Assemblea Costituente certamente l'aveva concordata con i dirigenti democristiani e soprattutto con il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi». Merito di Casarrubea, del quale il libro riporta due interviste, una rilasciata a Repubblica , l'altra a Liberazione , è stato invece quello di mettere in luce con forza il ruolo giocato dagli americani e dai loro agenti dell'Oss nella strage, i quali non esitarono ad assoldare anche elementi fascisti della X Mas pur di contrastare l'avanzata delle sinistre. Una tesi condivisa da Renda, «...della presenza di agenti dell'Oss nella strage non ci dovrebbero essere più dubbi» dice lo storico, il quale però non è d'accordo con l'approccio di Casarrubea, che avrebbe concentrata «tutta l'attenzione sull'esecuzione della strage». «Nella sostanza - dice Renda - manca la storia, ossia tutto ciò che precede la strage e tutto ciò che la segue».
Sul ruolo positivo avuto dalla Cgil e dalla Lega della cooperative in Sicilia Renda si sofferma nella seconda intervista quando ricorda la sinergia tra le due realtà fin dall'inizio del 900, resa più forte all'indomani dell'applicazione dei decreti Gullo sulla redistribuzione delle terre. «Fu una vera e propria pacifica rivoluzione - dice lo studioso - combattuta senza armi, senza morti e senza feriti, eccetto i dirigenti contadini morti ammazzati dalla mafia». Come già accennato, nell'ultima parte dell'intervista Renda affronta uno dei nodi cruciali della "questione siciliana", che riguarda lo Statuto autonomistico, «un potere che ha impedito che i venti dell'innovazione che soffiavano in Italia sbarcassero nell'isola» - come scrive Tripi nell'introduzione. Il tema è cruciale e ancora adesso di strettissima attualità vista l'arretratezza politica che, salvo scatti in avanti rapidamente rientrati, ha caratterizzato e continua a caratterizzare l'isola. «Lo Statuto sicialiano - dice Renda - è ancora oggi lo statuto approvato prima ancora che si cominciasse a discutere la Costituzione repubblicana», tanto che «noi oggi nel 2006 (quando è stata realizzata l'intervista, ndr) dal punto di vista costituzionale siamo nella stessa condizione del 1946». Risolvere questo problema dovrebbe dunque essere una delle priorità di chi desidera lo sviluppo culturale, politico e sociale della Sicilia. Ma sono troppi gli ostacoli da rimuovere lungo questa strada e tutto è ancora fermo, malgrado l'esistenza di un ampio movimento di opinione. Ancora una volta, come ha ammonito Tripi «la società è più avanti di una politica che non governa i processi».