´La Corte di Assise visto l'art.479 cpp assolve Leggio Luciano, Criscione Pasqualee Collura Vincenzo dai reati loro rispettivamente ascritti per insufficienza di prove, ed ordina le scarcerazioni degli ultimi due se non detenuti per altra causa, e revoca il mandato di cattura nei confronti di Leggio Lucianoª. Era il 30 dicembre 1952, quando la Corte d'Assise di Palermo pronunciò questa sentenza nei confronti di tre personaggi-chiave del "gotha" mafioso di Corleone, accusati di avere assassinato la sera del 10 marzo 1948 il sindacalista Placido Rizzotto.Quattro righe, dattiloscritte su un foglio di carta e lette ad alta voce dal presidente Gionfrida, che vanificavano mesi di difficili indagini, condotte dal capitato Carlo Alberto Dalla Chiesa. L'ufficiale dell'Arma era sicuro di avere inchiodato alle loro responsabilità Liggio, Criscione eCollura. Adesso, però, un tribunale gli aveva dato torto. Un torto confermato anche dalla sentenza di appello dell'11 luglio 1959, che divenne definitivo il 26 maggio 1961, quando fu respinto il ricorso in Cassazione, proposto dal pubblico ministero.
Dopo 13 anni, dunque, per i giudici di Palermo l'unica certezza era la scomparsa di Placido Rizzotto. Invece, il sequestro, l'assassinio, il ritrovamento dei suoi resti in una foiba di Rocca Busambra, il loro riconoscimento da parte dei familiari, le iniziali confessioni di Criscione e Collura, rimasero solo labili indizi, insufficienti per condannare i colpevoli. Per Liggio, questa sentenza rappresentò il collaudo del geniale metodo della ´lupara biancaª, che i "corleonesi" avrebbero continuato ad applicare anche in futuro. Occultando il cadavere della persona uccisa, infatti, diventa impossibile dimostrare l'omicidio.
La vicenda Rizzotto aveva fatto "scuola".A voler esaminare attentamente i fatti, però, numerosi interrogativi, anche inquietanti, restano in piedi. Come mai,per esempio, i giudici diedero più credito alla tesi della difesa (gli avvocati Dino Canzoneri e Rocco Gullo), secondo cui furono fatte ´insistenti pressioniª e ´violenze di ogni sortaª sugli imputati per costringerli a confessare, piuttosto che alla buona fede (almeno fino a prova di falso) del capitano Dalla Chiesa, che quelle confessioni raccolse? Come mai, comunque,
non si procedette a denunciare l'ufficiale dei carabinieri, "reo" di violenza contro gli imputati? Come mai non si diede alcuna importanza ai riscontri obiettivi di quelle confessioni, costituiti dall'individuazione della foiba e dal ritrovamento dei resti? Come mai non si mise in conto che Criscione e Collura avessero tanti buoni motivi per ritrattare, non ultimi la paura di ritorsioni mafiose e la comoda opportunità di seguire una linea difensiva che scagionava pure loro? Come mai i giudici si mostrarono cosÏ certi dell'inattendibilità del riconoscimento dei resti del Rizzotto da parte dei familiari, nonostante l'estrema precisione e i dettagli da questi riferiti? Come mai, infine, per quanto riguarda la causale del delitto, i giudici non presero in considerazione il ruolo di dirigente sindacale di Rizzotto, le lotte per la terra che aveva diretto e l'essere il Criscione, il Collura e il Liggio campirei o gabelloti di alcuni ex feudi presi di mira dai contadini, nonchè esponenti riconosciuti della mafia di Corleone? Tra l'altro, non potevano ignorare (stava scritto in tanti rapporti di polizia) l'esistenza della mafia a Corleone. Non potevano ignorare come questa associazione crimimale controllasse tutti i feudi e nemmeno la contrapposizione di interessi col movimento contadino guidato da Rizzotto. Non potevano ignorare, infine, che quel giovane sindacalista corleonese, alla data del 10 marzo 1948, era stato il 35° dirigente della sinistra a cadere sotto i colpi della mafia e che, dopo di lui, tanti altri continuarono ad essere assassinati, fino a raggiungere la cifra-record di 50 morti ammazzati. Dovevano essere consapevoli che, ´in terra di mafiaª, non si può commettere nessun delitto senza il preventivo assenso della "cupola". Eppurein nessuna carta processuale spuntò mai il nome di "don" Michele Navarra, che di quella "cupola" era notoriamente il capo riconosciuto.
Inizialmente si seguì la pista passionale
(d.p.) Come per tutti i delitti di mafia, anche per líassassinio Rizzotto fu indicata una pista "passionale". I primi a farla circolare furono gli stessi investigatori. ´Rizzotto non morì per la sua attività di sindacalista che dava fastidio alla mafia... morì perchè, eterno fidanzato di quella ragazza Leoluchina Sorisi, non voleva più sentirne di sposarlaª, scrive Angelo Vecchio (Luciano Liggio, Palermo, La Fiera Edizioni, 1994). E qualcuno giurò pure di avere sentito la Sorisi gridare: ´Mangerò il cuore a chi ha assassinato Placido!ª. ´Ma Placido non aveva nessuna fidanzata!ª, Ë stata sempre la tesi dei suoi familiari. Ironia della sorte, la sera del 14 maggio 1964, Luciano Liggio fu arrestato nella casa di
Leoluchina Sorisi, dove si nascondeva da alcuni mesi. La via Bentivegna, la strada che Rizzotto percorse la sera in cui fu ucciso; Carlo Alberto Dalla Chiesa a Corleone; l'arresto di Luciano Liggio nella casa di Leoluchina Sorisi Alla Contrada Casale, alle pendici di Rocca Busambra, dove fu trovata la foiba con i resti di Rizzotto. Nonostante il riconoscimento dei familiari, alla fine Liggio, Criscione e Collura furono assolti
Le sentenze che hanno mandato assolti gli imputati lasciano tanti perchè irrisolti. Mafia e attività della vittima non sono citate. In fumo il lavoro di Dalla Chiesa
(d.p.) Dopo le confessioni di Criscione e Collura, il 6 dicembre 1949, con una squadra di carabinieri, Carlo Alberto Dalla Chiesa raggiunse Rocca Busambra per trovare "la tomba" di Rizzotto". Le ricerche durarono alcune ore. Venne individuata la foiba, dall'ingresso molto stretto, ma profonda almeno 50 metri. Due giorni dopo, con un sistema a carrucola, il carabiniere Orlando Notari scese nel cunicolo e, dopo 40- 45 metri, con una lampadina tascabile, riuscÏ a scorgere il termine della "ciacca". Data la pericolosità del cunicolo, fu chiesto l'aiuto di una squadra di vigili del fuoco e, insieme ad essi, il 14 dicembre 1949, si tentò di arrivare sul fondo. Quindi, si riuscì ad estrarre i resti di tre cadaveri, dai quali furono prelevati lembi di indumenti ed oggetti utili per l'identificazione, che furono divisi in tre gruppi, e portati al cimitero di Corleone la sera stessa per essere posti a disposizione del pretore. Il giorno dopo, il vice-pretore di Corleone, dott. Bernardo Di
Miceli, cugino del dott. Navarra, effettuò la ricognizione ufficiale degli oggetti recuperati, ´fra i quali: parte di una teca cranica, frammenti ossei del cranio, radio ed ulna in discrete condizioni di conservazione, un frammento di articolazione del radio, parte di una calotta cranica
ben conservata nel lato posteriore fino alla base dei capelli di colore castagnoª, scrisse la prima Commissione antimafia. I familiari di Rizzotto ´dichiararono di riconoscere come appartenenti al congiunto gli scarponi di tipo americano con suole e tacchi di gomma, nonché i lembi di stoffa da mutande. Le sorelle Biagia e Giuseppa riconobbero inoltre la cordicella elastica legata a nodo, che asserirono essere stata adoperata come reggicalze dal fratello Placido; Mannino Rosa credette di potere riconoscere anche la calotta cranicaª. A questo punto, con rapporto del 18 dicembre 1949, il capitano Dalla Chiesa, procedette a denunciare il latitante Luciano Liggio e gli arrestati Pasquale Criscione e Vincenzo Collura.
Ma non servÏ a niente.
Il "film" delle ultime ore di vita del sindacalista
LA STORIA. La passeggiata finale lungo via Bentivegna, poi la lite con Luciano Liggio e il sequestro.
La sera del 10 marzo 1948 Placido Rizzotto non uscì solo dalla Camera del lavoro. Con lui c'erano Vincenzino Benigno e Giuseppe Siragusa. Ma, purtroppo, ciò non impedì che fosse sequestrato ed ucciso, pagando forse ingenuità sue e colpe di altri, come emerge chiaramente dalla ricostruzione di quelle sue ultime ore. Lasciata la sede della Cgil, intorno alle 21, Rizzotto, in compagnia di Benigno e Siragusa, si fermò in via Bentivegna, all'incrocio con via San Martino, per aspettare il dott. Michele Navarra, col quale (nella sua qualità di medico condotto) il sindacalista doveva prendere accordi per risolvere alcune questioni riguardanti gli elenchi anagrafici dei braccianti agricoli di Ficuzza. Navarra abitava nei pressi, in piazza Sant'Orsola, ma quella sera non passò. Ad
un certo momento, invece, si avvicinò ai tre Pasquale Criscione. Dopo un poco, Siragusa si congedò dai suoi amici e tornò a casa. Rimasero insieme, quindi, Rizzotto, Benigno e Criscione. ´Questi (il Criscione) cercò di attaccare discorso per cinque minuti - avrebbe raccontato qualche anno dopo Benigno a Danilo Dolci ma noi non ci si diede conto, non ci persuadeva. Lui continuava a
scherzare. Dovevamo fare spesa. Chiedemmo permesso. Venne anche lui. Poi si andò verso casa. Offrì la sua compagnia. Non si potè rifiutarla. Arrivato a casa io entrai, mai pensando cosa poteva succedere: c'era gente intorno da tutte le parti. Loro scesero verso la piazza...ª. Il gruppo dirigente della Camera del lavoro di Corleone era consapevole dei rischi che correva Placido Rizzotto. In quei primi anni del dopoguerra, tanti sindacalisti erano già stati assassinati. L'ultimo a cadere, otto giorni prima, era stato Epifanio Li Puma a Petralia Sottana. Per precauzione, quindi, ogni sera usavano accompagnarlo a casa. Quella sera, però, Giuseppe Siragusa,
pur avendo visto avvicinare Criscione, decise ingenuamente di tornare a casa per primo.Benigno accettò di essere accompagnato a casa, lasciando il capolega proprio con quel Criscione, del quale lui stesso avrebbe detto che "non ci persuadeva". Un'altra ingenuità?
Ma proseguiamo con la ricostruzione di quell'ultima sera di Rizzotto. Accompagnato dal Collura, percorse la via Bentivegna, fino all'angolo della chiesa di San Leonardo, dove l'aspettavano Luciano Liggio e un altro gruppo di mafiosi. Nacque una discussione molto animata, quasi una lite, ci ha raccontato Luca, un testimone oculare oggi ottantenne (La Sicilia, 6 marzo 2005), a cui Rizzotto tentò di mettere fine urlando ´Adesso basta, lasciatemi andare!ª. Ma quelli lo presero a forza, facendolo salire sulla 1100 di Liggio, che immediatamente sgommò verso una fattoria di contrada Malvello. Fu in quel posto che Rizzotto, dopo essere stato picchiato a sangue, venne assassinato. Successivamente, il suo cadavere fu buttato in una foiba di Rocca Busambra. Al delitto assistette un pastorello di 13 anni, Giuseppe Letizia, che tornò sconvolto in paese, in preda ad una febbre altissima. Ricoverato allíospedale "Dei
Bianchi", fu "curato" con una iniezione letale dal dottor Michele Navarra. Nonostante le denunce de ´La Voce della Sicilia ª e le manifestazioni di protesta della Cgil e dei partiti di sinistra, nessuno avrebbe mai saputo più niente di Rizzotto, se una ´gola profondaª ante litteram, Giovanni Pasqua, relegato nel famigerato carcere dell'Ucciardone, non fosse divenuto improvvisamente loquace, indicando gli assassini del sindacalista in Luciano Liggio, Pasquale Criscione, Vincenzo Collura ed altri. Dopo alcune battute, i carabinieri di Dalla Chiesa riuscirono ad arrestare Pasquale Criscione e Vincenzo Collura, che, il 4 dicembre 1949, interrogati nella caserma di Bisacquino, fecero clamorose rivelazioni. Ammisero, cioè, ´di aver partecipato al sequestro di Placido Rizzotto, in concorso con Leggio Luciano, che poi avrebbe ucciso la vittima con tre colpi di pistola.