L'uccisione di Carlo, quattro anni fa, ha riaperto una ferita profonda.
Una ferita che i più avevano voluto dimenticare, molti - per calcolo, interesse o cecità - avevano contribuito a confondere, ignorare o in alcuni casi addirittura negare.
Una ferita che ha continuato a far soffrire non solo noi, che la portiamo addosso da una vita, ma il tessuto democratico della nostra società.
Il corpo di mio figlio sull'asfalto di una piazza me l'ha gridato in faccia: "è anche colpa tua".
Sì, colpa mia, che avevo preteso di continuare a vivere dopo essere stata vicina ad altri corpi sull'asfalto di altre piazze; colpa mia, che avevo messo al mondo i miei figli senza prima chiedere conto, con forza, di quelle morti.
Lidia Menapace, intervenendo qui a Genova nel luglio scorso nell'ambito delle iniziative organizzate dal Comitato PiazzaCarloGiuliani, ha parlato di morti irrisarcibili. Ha detto proprio così, irrisarcibili, spiegando con una parola, come sa fare lei, perché certe ferite non si possono cicatrizzare senza provocarne altre, senza provocare gravi danni morali, altre sofferenze, altre morti.
"Tutti - caduti nelle stragi o nelle carceri, nelle manifestazioni o a un posto di blocco - sono vittime di un potere basato sull'ingiustizia sociale. Nonostante ciò ripeto che sono realtà diverse fra loro. E non credo si riesca utilmente a metterle insieme", ha osservato qualcuno nei lunghi dibattiti che hanno preceduto la nascita di Reti Invisibili.
Reti Invisibili non intende mettere insieme morti diverse per confonderle tra loro; e non ha la pretesa di restituire verità a tutti e a tutte coloro che hanno subìto l'offesa di una giustizia negata: umilmente, grazie all'impegno di alcune persone generose, sta cercando di recuperare a una a una quelle morti, per liberarle almeno dal silenzio con cui si vorrebbero più o meno nascondere, per mostrarle alla coscienza di un paese per lo più distratto. Per renderle meno invisibili, appunto, per impedire che su di loro qualcuno possa continuare a costruire castelli di bugie, per impedire che falsità e segreti possano continuare ad armare le mani di nuovi o vecchi assassini. Perché su quelle bugie, su quei segreti si costruiscono le impunità dei responsabili, a cominciare dagli esecutori, dai mandanti, fino alle più alte responsabilità politiche.
Non è un caso se l'inchiesta condotta tra i ragazzi e le ragazze dei licei milanesi, lo scorso anno, ha dimostrato che la maggior parte di loro crede che la strage di piazza Fontana sia stata opera delle Brigate Rosse. Non è un caso se, a proposito dei processi in corso sui fatti del G8 genovese, incontro nelle mie peregrinazioni tante persone disinformate, o male informate dai media più diffusi. Non è un caso, ma noi non possiamo accettarlo, non dobbiamo permettere che la nostra storia, recente o passata, venga così manipolata, riscritta, stravolta.
Oggi, trent'anni fa, è stato assassinato Piero: la giustizia gli è stata negata, la verità ce la portiamo nel cuore. Questa mattina a casa Giuliani è arrivata la telefonata di Graziella Mascia: la commissione di inchiesta sui fatti di Genova è entrata nel programma dell'Unione. A qualcuno potrà sembrare una piccola cosa, non a noi che sappiamo quanto lavoro e quanta fatica è costata. A qualcuno potrà sembrare perfino inutile, date le premesse: noi che siamo abituati a camminare per piccoli passi siamo contenti ogni volta che riusciamo a porre un sassolino lungo la strada. E questo lo dedichiamo a Piero.
Giacomo Ulivi, 19 anni, universitario, scriveva nella sua ultima lettera prima di essere fucilato dai fascisti sulla Piazza Grande di Modena il 10 novembre 1944:
"No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere!"
Haidi Gaggio Giuliani