«C'era tutto il mondo dentro a quegli occhi. Piero Bruno è un ragazzo che ha sempre 17 anni». Ci sono spettacoli, che nascono, ancora oggi, da «uno spigolo di cuore, che si apre solo nelle grandi occasioni». Non si può rimanere indifferenti alla caparbietà passionale che vibra dalle parole, gesti, sguardi di Massimiliano Coccia e Fabrizio Giannini, coautori del testo dello spettacolo Gli occhi di Piero - storia di Piero Bruno, un ragazzo degli anni '70 , tratto dal libro omonimo di Coccia uscito per le edizioni Allegre nel 2006. Il loro incontro non ha filtri snaturanti la loro esigenza di verità e di dialogo, «perché - come ci dicono - quando c'è un'autocensura, si assiste alla morte dell'intelligenza, e noi vogliamo rispettare la nostra coerenza, nella totale trasparenza. Per non dimenticare in un paese in cui si dimentica facilmente».
Gli occhi di Piero sarà in scena fino al 25 gennaio al Teatro dell'Orologio di Roma, nella co-regia di Giannini e Marco Simeoli, dopo aver debuttato nel 2008, sul palco la bravura di Giannini, attore prestatosi anche a cinema e televisione, ma che di teatro si nutre. C'è da fare di nuovo i conti con la storia di Piero Bruno, diciassette anni nel 1975, una giovane vita spezzata senza un motivo se non quello della paura e della logica del terrore. Era novembre a Roma, e durante un corteo per il riconoscimento della Repubblica dell'Angola, fu colpito, e colpito, dai colpi di pistola esplosi sul suo gruppo messo in fuga dalla polizia, morendo dopo una notte di agonia. Assolti i poliziotti, di cui si sapevano nomi e cognomi. Vigeva la Legge Reale, le forze dell'ordine, nell'adempimento del loro dovere, potevano sacrificare vite, innocenti, magari piangendole a malincuore, «e il problema è che quella legge fu votata anche grazie al Partito Comunista» - come ricordano Coccia e Giannini. «Non è solo la storia di Piero, anche se lui è sempre presente. È la storia di un'epoca, in cui tutto poteva succedere, in cui si credeva ancora che scendere in piazza, e farlo per i propri diritti, avesse senso, e potesse cambiare davvero in meglio le cose». «Abbiamo evitato qualsiasi forma ideologica, tessendo insieme, nella sua drammatizzazione, solo ciò che è vero». Parlandoci anche del presente. Di Carlo Giuliani. «Quando ho incontrato Heidi, la madre di Carlo - condivide Coccia - la prima cosa che mi ha fatto vedere è stata la stanza del figlio. È incredibile come si tenti subito di infangare l'immagine di qualcuno. Organi di informazione e di potere che quasi trovano giustificazioni per la sua morte. Ma quello che c'è, e che è vero, è il dolore di una famiglia per un figlio che non ci sarà più». Durante lo spettacolo, compare lo sguardo di Pasolini, e la sua voce: "Io muoio, e anche questo mi nuoce".