Come in molti altri casi di cui ci siamo occupati su Ecomancina.com, anche per la strage di Piazza della Loggia vale una triste regola: trenta anni di indagini, nessun colpevole. E, come per gli altri casi, sono due le parole che sorgono spontanee: "Verità e Giustizia", che sono state negate; negate innanzitutto ai familiari delle vittime, ma pure al resto della società civile.
La tragedia di Piazza della Loggia ha una sua peculiarità, rispetto ad altre stragi che hanno insanguinato il nostro paese: avvenne durante una manifestazione organizzata dal comitato permanente antifascista di Brescia per protestare contro episodi di violenza da parte di gruppi della destra eversiva. Ma su questa peculiarità torneremo a riflettere più avanti: ora è il momento di riassumere brevemente i fatti.
Era il 28 maggio 1974 quando in Piazza Loggia scoppia la bomba: 8 i morti, oltre cento i feriti. Da un articolo di Rossella Prestini tratto da "QuiBrescia.it": (http://www.quibrescia.it/stragepiazzaloggia.htm)
"Due furono le piste d'indagine inizialmente intraprese per trovare i colpevoli della strage di piazza Loggia. La prima, bresciana, andava verso un insieme non organizzato, formato da piccoli delinquenti comuni con simpatie di destra e da un gruppo di giovani neofascisti della Brescia bene (fra cui Andrea Arcai, figlio del giudice, poi assolto). Si aprì nel 1974 e si concluse tredici anni dopo con la sentenza del 25 settembre 1987 della Cassazione, che confermò in via definitiva l'assoluzione del gruppo. Il principale imputato, Ermanno Buzzi che già era stato condannato all'ergastolo per la strage con la sentenza di primo grado, venne strangolato nel carcere di Novara da due terroristi neri, Concutelli e Tuti, alla vigilia del processo di appello.
La seconda pista venne aperta in seguito ad alcune rivelazioni di collaboratori di giustizia provenienti dall'ambiente carcerario e si focalizzò su gruppi della destra radicale milanese. Gli imputati - Fabrizio Zani, Marco Ballan, Giancarlo Rognoni, Bruno Luciano Benardelli e Marilisa Macchi - vennero definitivamente assolti dalla Corte di Cassazione il 13 novembre 1989."
Ma il 13 novembre 1989 non viene scritta la parola "fine" sulla vicenda. La procura della Repubblica di Brescia dal 1993 ha aperto una nuova inchiesta, che ha visto iscritti sul registro degli indagati esponenti della destra eversiva, ma anche note personalità, come il generale dei carabinieri Francesco Delfino o l'ex parlamentare Pino Rauti; dalle testimonianze di Carlo Digilio e Martino Siciliano sembra netto il coinvolgimento del gruppo ordinovista veneto. E, sempre in seguito a queste ultime deposizioni, vengono coinvolti indirettamente (con l'accusa di favoreggiamento a favore di uno degli imputati, Delfo Zorzi), anche alcuni legali di spicco (compreso l'onorevole Gaetano Pecorella) che hanno sempre negato ogni addebito.
Martino Siciliano è un vecchio amico di Delfo Zorzi, con cui militava nella cellula di Ordine Nuovo di Mestre. E' strana la storia di Martino Siciliano, costellata da dichiarazioni clamorose, fughe improvvise, inattesi ripensamenti. Storico collaboratore di giustizia nelle inchieste sullo "stragismo nero" di quegli anni, da anni latitante era tornato a Milano per deporre al processo di Piazza Fontana, ma il giorno della sua udienza era fuggito ancora. Il nome di Siciliano tornò sulle prime pagine dei giornali nel 2002, quando ai magistrati di Brescia fu consegnato un suo memoriale dove scagionava Delfo Zorzi e ritrattava tutte le sue precedenti dichiarazioni sulla strage di Brescia.
Successivamente, altro colpo di scena: Siciliano viene arrestato a Milano.
(fonte: ANSA 11.03.2003): "Grazie a Giuseppe Fisanotti, personaggio veronese in passato legato all'estrema destra, i magistrati bresciani, scoperto che Siciliano era tornato in Italia e non credendo ad una parola del memoriale, avevano intercettato le sue conversazioni. Il pentito aveva raccontato a Fisanotti di avere ricevuto fin dal 1997 compensi da Delfo Zorzi. Aveva anche raccontato che al processo per la strage di Piazza Fontana, il 20 settembre del 2000, non si era presentato perche' Delfo Zorzi gli aveva promesso denaro cosi' come glielo aveva promesso per il memoriale (500 mila dollari). Una storia complicata che ha fatto finire nei guai anche i legali di Delfo Zorzi, Gaetano Pecorella e Antonio Franchini, e quello dello stesso Siciliano, Fausto Maniaci. Martino Siciliano nelle conversazioni con Fisanotti, intercettate dai carabinieri, aveva spiegato di avere intrattenuto rapporti con i legali dell'ordinovista veneto, da molti anni diventato cittadino giapponese dove vive con il nome di Hagen Roy."
Le ricerche degli inquirenti hanno portato ad individuare accrediti sospetti di denaro sui conti in Colombia di Martino Siciliano. Anche la provenienza (da "casseforti" svizzere) ed i riscontri temporali dei movimenti di denaro sembrano coincidere con l'ipotesi che il memoriale in cui Siciliano scagionò Zorzi (memoriale in seguito nuovamente sconfessato dallo stesso Siciliano) non fosse sincero ma "pilotato"; ma la provenienza del denaro resta sconosciuta (serviranno altre rogatorie) e la convivente di Siciliano attribuisce le transazioni finanziarie ad ipotesi diverse (compravendite di case e terreni di cui era proprietaria la donna).
Con la nota ANSA e la mia ultima postilla ci avviciniamo all'attualità, ma non, purtroppo, alla verità giudiziaria, che è ancora ben lontana dall'essere scritta. Diverso è il discorso se ci concentriamo sulla verità storica della strage di Brescia; come accennavo in premessa la strage di Brescia ha una sua precisa identità: perpetrata durante una manifestazione antifascista, assume un connotato particolarmente esplicito su quale fosse il clima politico di quell'epoca e su quale fosse il prezzo che lo Stato era disposto a pagare per ostacolare l'ascesa delle forze di sinistra.
Piazza della Loggia è una vicenda paradigmatica della "strategia della tensione". Ed i tanti ostacoli posti lungo il cammino delle indagini ci illumina su quale fosse il livello a cui giunsero i legami (e conseguentemente le coperture) fra apparati statali e gruppi neofascisti e spiega anche perché, dopo tanti anni, sia così difficile giungere non solo ad una verità giudiziaria, ma pure ad una memoria condivisa su quei fatti. Ed è terribile constatare, accanto al "non accertamento" della verità processuale, che pure quella "memoria condivisa" non sembra interessare più di tanto alle Istituzioni, che sembrano considerare le stragi d'Italia (da Portella delle Ginestre in poi) al massimo una pagina di storia da non ripetere, certo, ma soprattutto da dimenticare in fretta, senza che sia stata raggiunta chiarezza.
In una lettera inviata per il convegno "I comitati civili contro silenzi e impunità", tenuto a Genova il 12 luglio 2003 (occasione in cui è nata l'idea, concretizzatasi qualche mese dopo, di www.reti-invisibili.net) Manlio Milani (Presidente Associazione dei caduti di Piazza della Loggia) e Lorenzo Pinto, della medesima Associazione, hanno scritto: "l'Italia, dopo la Colombia, è il paese con il più alto numero di cittadini, funzionari dello Stato, caduti per atti di terrorismo, stragismo politico e mafioso, omicidi politici. ... Noi siamo il Paese delle Associazioni delle vittime. Cosa vuol dire che i familiari si riuniscono e si battono per avere giustizia? Vuol dire che senza l'impegno di una parte di società per strappare la verità, è difficile che la verità venga fuori. Vuol dire che c'è una ferita nelle regole della democrazia, nel nostro Paese, talmente profonda che non può essere rimarginata con l'oblio, la rimozione. Vuol dire che c'è una ferita nel concetto di libertà.".
Di questo e altro abbiamo parlato con Manlio Milani, intervistato a Brescia il 21 aprile 2005.
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Una domanda dolorosa ma che mi sembra inevitabile per cominciare la nostra chiacchierata: cosa vuol dire ricordare oggi il 28 maggio 1974? Intendo dire che, al di là della dimensione umana e personale, tu rappresenti l'Associazione dei caduti di Piazza della Loggia: in questi anni nelle mie interviste ho affrontato fatti della storia recente italiana sui quali non si sono mai ottenute verità o giustizia. Ed ho scoperto che in molti casi i parenti e gli amici delle vittime di quei fatti per "far sentire la propria voce" hanno scelto di riunirsi in associazioni. Vorrei dunque che tu mi parlassi anche della storia e degli obbiettivi della vostra associazione.
Manlio Milani:
Gli obbiettivi della nostra associazione sono riassumibili nello slogan "verità e giustizia per non dimenticare". Che è lo slogan attorno al quale nei primi anni '80 ci siamo riuniti con altre associazioni analoghe (Bologna, treno Italicus, Piazza Fontana ecc.) costituendo la "Unione familiari vittime per stragi". Tutto ciò perché il tema della mancanza di verità e giustizia per queste stragi è un tema comune, anche se diversamente articolato. Intendo dire che il quinquennio 1969/1974 è totalmente impunito per ciò che attiene i mandanti, con pochissime eccezioni per gli autori come ad esempio la strage di Peteano del 1972, e solo perché c'è un reo confesso, il neofascista Vincenzo Vinciguerra che confessò solo perché, a suo dire, voleva svelare le connivenze di alcune forze di destra con apparati dello Stato e voleva denunciare questa strumentalizzazione di cui si sentiva vittima.
L'altra strage di quel quinquennio non totalmente impunita è quella della questura di Milano (1973) perché l'autore (Gianfranco Bertoli) fu colto in flagrante. Anche in questo caso non sappiamo chi sono i mandanti ed eventuali altri complici. Bertoli (personaggio ambiguo: sedicente anarchico, che si scoprì in seguito legato agli ambienti dell'estrema destra vicini ai servizi segreti) si è cercato di trasformarlo nel "deus ex machina" di quel fatto, mentre probabilmente anche lui era solo uno strumento in mani altrui...
Resta che, a parte queste poche eccezioni, le stragi del quinquennio 69/74 sono totalmente impunite. Nel periodo successivo le cose andranno diversamente: per la stazione di Bologna(1) dove non solo si è riusciti a condannare alcuni degli attentatori (Mambro e Fioravanti), ma anche uomini di apparati dello Stato, come i generali dei servizi segreti Belmonte e Musumeci, condannati per aver ostacolato le indagini. Come pure la condanna di Pazienza e di Licio Gelli (P2) evidenzia l'azione di gruppi di potere occulti che influenzarono l'attività dello Stato.
Questa impunità totale del periodo 69/74 è un elemento su cui riflettere. La domanda sul "perché" dell'impunità di queste stragi non ha una facile risposta, soprattutto se vogliamo andare oltre il puro dato del depistaggio. E' una risposta che dobbiamo cercare nel "perchè" di quelle stragi. In tal senso fondamentale è cogliere il contesto storico e politico in cui avvengono e che è molto diverso sia da quello degli anni immediatamente seguenti alle stragi, sia da quello attuale. In primo luogo, i cambiamenti nello scenario internazionale: prima la caduta di Nixon nel 1974, e la contemporanea fine del regime dei colonnelli in Grecia e di quello portoghese; poi la caduta del muro di Berlino nel 1989.
Cambiamenti che avrebbero potuto facilitare la ricerca della verità, invece ne siamo ancora molto distanti. Recentemente sono stati desegretati dagli americani dei documenti che gettano nuova luce su quegli anni e che confermano che quelle stragi facevano parte di quel contesto di contrapposizione a livello mondiale che divise l'Europa in due blocchi; l'Italia era un Paese caratterizzato da una forte presenza del PCI ma apparteneva al blocco occidentale, e ciò era sufficiente a giustificare qualsiasi azione tesa ad ostacolare l'andata al governo del Partito Comunista e della sinistra nel suo insieme.
Il 1974 è un anno di grande svolta: proprio dopo Piazza della Loggia la strategia anticomunista entra in crisi. Il ministro degli Interni Taviani metterà fuori legge organizzazioni neofasciste come Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo e lo stesso ministro, subito dopo la strage di Piazza Loggia, definirà la politica degli opposti estremismi come "nefasta per la democrazia italiana". Sono atteggiamenti che dovevano segnare l'avvio di una nuova fase "antifascista" caratterizzata dalla proposta del compromesso storico lanciata da Berlinguer all'indomani del golpe cileno. Una proposta che rimescolava le carte (anche per effetto della sconfitta al referendum sul divorzio) dentro la stessa DC, dando più vigore alle forze più popolari presenti al suo interno.
Una iniziativa che, che nelle intenzioni dei proponenti, poteva aprire una stagione che superava quelle contrapposizioni e quella "sovranità limitata" a cui l'Italia era costretta e che poteva restituire pienamente le scelte al voto dei cittadini. Insomma, si dovevano creare le condizioni di quella che Moro definiva "democrazia dell'alternanza"; un periodo breve che finì, nel 1978, con l'uccisione dello stesso Moro.
Dopo la sua morte cominciò una nuova fase della politica italiana, che passa attraverso tangentopoli ed arriva fino ai giorni nostri. E' amaro constatare che la profondità di quei cambiamenti non avvenga per effetto di quelle stragi, con quei 149 morti innocenti e i circa 500 feriti racchiusi nel periodo 1969 (Piazza Fontana) e il 1984 (Treno 904).
Ti dicevo prima che i documenti desecretati dagli americani confermano questo contesto storico; addirittura per Piazza della Loggia si parla in termini espliciti di questa logica di contrapposizione che giustificava qualsiasi azione, per quanto criminale potesse essere, in chiave anticomunista.
Vorrei sottolineare queste tue parole, che mi trovano d'accordissimo. Direi addirittura che questo disegno anticomunista figlio della contrapposizione internazionale est-ovest comincia già con la strage di Portella delle Ginestre del 1947. Primo maggio del 1947: pochi giorni dopo le elezioni regionali che avevano visto il successo del Blocco Pci - Psi, l'appuntamento di Portella delle Ginestre si trasforma in un massacro. Le responsabilità furono attribuite al bandito Giuliano, ma il rapporto dei carabinieri indicava, come possibili mandanti, "elementi reazionari in combutta con i mafiosi locali". Recentemente un bel film di Paolo Benvenuti ("Segreti di Stato") ha riportato la vicenda all'attualità.
M.M.:
E' vero. Anzi, si sta rafforzando la tesi sostenuta dallo storico Nicola Tranfaglia nel suo recente e documentatissimo libro "Come nasce la Repubblica, 1943/47", per il quale la guerra fredda non comincia nel 1948, ma nel 1943, ossia con lo sbarco degli americani in Sicilia e che vede la collusione fra mafia, forze neofasciste (in primo luogo Junio Valerio Borghese(2) e tutti i "residui" della X Mas) che si schierano con i Servizi Segreti USA. Yalta verrà più tardi, ma già nel 43 si sapeva che il mondo era destinato ad essere diviso in due blocchi, e l'Italia "doveva" far parte del blocco occidentale. E' da allora che comincia la strategia per ostacolare le forze di sinistra, e la strage di Portella della Ginestra ne segna l'inizio.
In Italia il processo di condizionamento delle forze di sinistra fu molto difficoltoso. Il Partito Comunista Italiano non era soltanto un grande partito di massa, ma aveva dato un contributo fondamentale alla lotta antifascista e di Liberazione. La Carta Costituzionale era il frutto della pluralità delle forze e delle culture che avevano contribuito a sconfiggere il fascismo. Quella carta Costituzionale che oggi si vuole svilire e cestinare proprio per quella sua "sintesi pluralistica".
Tornando alla tua domanda e alle stragi di quegli anni, direi che dobbiamo aver ben presente il contesto storico di quel periodo, perché le stragi si inseriscono all'interno di esso. Le stragi, in sostanza, agiscono da un lato come un fattore "destabilizzante" perché creano tensione, paura, ingovernabilità e quindi pongono "oggettivamente" la domanda di un governo d'ordine; ma dall'altro vengono utilizzate come processo "stabilizzante" del sistema di potere politico in atto, e la politica degli "opposti estremismi" assume in tal senso una funzione decisiva nel mantenimento di quella "forma di potere" imperniato sulla DC.
Piazza della Loggia si inserisce in questo contesto. Tu mi chiedevi come la ricordo trent'anni dopo: ebbene, nonostante quelle contrapposizioni e quei tentativi di creare le condizioni per una rivolta popolare che avrebbe giustificato un successivo intervento golpistico restauratore, proprio con Piazza della Loggia abbiamo assistito ad una risposta eccezionale, che vale ancora oggi come esempio di risposta civile ed allo stesso tempo di condanna fermissima della logica delle stragi. Abbiamo visto una città che si autogestiva con la Camera del Lavoro che diventa il centro motore di questa organizzazione.
Né in Piazza della Loggia né sul percorso dei funerali ci fu un solo poliziotto impegnato nel servizio d'ordine che venne autogestito dai cittadini. Ai funerali, a fronte di una partecipazione popolare enorme (si parlò di 600.000 persone) e della contestuale presenza delle massime autorità dello Stato (compreso l'allora Presidente Leone, eletto pochi anni prima coi voti determinanti del Movimento Sociale Italiano), quel servizio d'ordine diede una grande risposta politica, difendendo le autorità dalle contestazioni e allo stesso tempo lasciando lo spazio, attraverso i fischi, ad una contestazione civile. Era un chiaro messaggio politico: vanno cambiati gli uomini di governo, le istituzioni vanno adeguate modificando il loro sistema di trasparenza, ma non vanno abbattute.
E quella risposta impose ad aree delle stesse forze governative (anche all'interno della DC) di ribellarsi ai quei gruppi di potere sommersi che le condizionavano e di stabilire nuove forme di alleanze che si aprirono a una nuova stagione di unità antifascista; una stagione che vedeva come personaggi più rappresentativi Moro e Berlinguer.
Tornando alla ricostruzione del contesto storico ed ai documenti desecretati dagli americani di cui ti dicevo prima, emerge che il 2 giugno del '74, durate la parata per la festa della Repubblica, doveva essere perpetrato un attentato (probabilmente al Presidente Leone), per determinare quelle condizioni di rivolta che avrebbero giustificato una domanda d'ordine ed una risposta autoritaria. E qui rammento un episodio emblematico.
Due giorni dopo la strage di Brescia avviene uno scontro a fuoco a Pian del Rascino fra un gruppo di carabinieri e militanti neofascisti di Milano, tra cui Giancarlo Esposti, che morirà nello scontro. Dopo il conflitto a fuoco emergeranno due cose: una fotografia di un certo Cesare Ferri, che poi un sacerdote di Brescia, Don Gasparotti, riconobbe come la persona che il 28 maggio si aggirava nei pressi di Piazza della Loggia con un pacchetto; Ferri fu in seguito assolto, e noi dobbiamo riconoscere e rispettare questa decisione anche se Don Gasparotti non smentì mai questa sua convinzione.
L'altro elemento importante che emerge a Pian del Rascino è il ritrovamento di un fucile ad alta precisione che, con ogni probabilità, doveva essere usato nell'attentato del 2 giugno a Leone. Queste circostanze inquadrano ancora meglio il disegno golpista autoritario che era in atto in Italia; possiamo trovare ulteriori conferme nel testamento di Edgardo Sogno(3), il quale scriverà che nell'estate del '74 aveva già pronta una lista di nomi per un governo provvisorio; una sorta di "governo d'ordine" che, a suo dire, doveva intervenire dopo Piazza della Loggia con quello che lui definì "un colpo di stato incruento" (e non chiedermi come potesse essere incruento un colpo di stato...).
Insomma, una cosa è certa: esistono una serie di elementi che convergono in una direzione precisa e testimoniano l'esistenza di un disegno autoritario che, nel complesso, anche la Magistratura ha confermato (e la sentenza di Piazza Fontana ribadisce tutto ciò pur non avendo individuato i singoli responsabili).
Ma intanto quelle stragi restano senza colpevoli, e questo ha almeno due grosse conseguenze negative.
La prima grava sulla società in generale, perché la mancata chiarezza su quel periodo ha consentito (e probabilmente consente) che la nostra democrazia fosse per anni incompleta e nelle condizioni di subire ricatti esterni. Io non ho mai condiviso le parole dell'allora Presidente Cossiga che, dopo la caduta del muro di Berlino, disse più o meno "le stragi fanno parte del periodo della guerra fredda. Ora che il mondo è cambiato, di quelle stragi non parliamo più...".
E' un atteggiamento sbagliato per diversi motivi. Innanzitutto se è vero che quelle stragi sono ancora impunite, proprio le parole di Cossiga confermano che esse furono commesse per impedire l'ascesa delle forze di sinistra e, conseguentemente, un possibile (ma non probabile) cambio di alleanze internazionali dell'Italia.
Ma soprattutto mi sembra che le parole di Cossiga esaltino il concetto di "ragion di Stato". Con quelle parole si afferma che esistono momenti in cui, in nome di questa distorta ragion di Stato, la verità deve essere occultata. Se noi trasferiamo questo modello ai giorni nostri ed alla situazione americana precedente la guerra in Iraq ci troviamo nella identica condizione. Da noi in quegli anni si è scelto di tacere; in America si è scelto di mentire, giustificando la guerra con le famose armi di distruzione di massa che, alla prova dei fatti, in Iraq non sono state trovate.
Tutto questo dimostra quanto le Istituzioni non siano ancora trasparenti come dovrebbero essere.
Ma c'è un altro aspetto da sottolineare riguardo all'impunità delle stragi e che coinvolge direttamente i familiari delle vittime. La strage di Brescia è "anomala": se le altre stragi erano "normali" fatti terroristici, finalizzati a creare paura e tensioni sociali, in Piazza della Loggia viene colpita una manifestazione antifascista. Anche i morti sono (ovviamente fra virgolette) "diversi": persone che non erano lì per caso, ma avevano deciso liberamente di aderire all'invito del comitato antifascista; persone che ritenevano con la loro scelta, di dare un segnale preciso: volevano respingere la violenza neofascista e difendere, con la propria presenza in piazza, la Costituzione nata dalla Resistenza.
Una strage politica, insomma: la sua impunità pesa enormemente sui familiari delle vittime, e a me personalmente quell'impunità a volte fa provare una sensazione strana: che quel fatto non sia mai successo... I valori per cui quella mattina eravamo in piazza sembrano annullati, dimenticati; e di conseguenza le persone morte quella mattina sono anch'esse annullate, dimenticate...
Io credo che la giustizia dovrebbe avere anche questa funzione: nel momento in cui viene emessa una sentenza che sancisce le responsabilità per un dato fatto si confermano due elementi fondamentali.
Da un lato viene evidenziata la riconoscibilità del fatto: con la sentenza di condanna "il fatto" viene codificato e da quel momento la vittima o il superstite, può pensare a come superarlo, a come "andare oltre" il fatto in sé, a valutare quali insegnamenti possano essere tratti da quella tragedia. In sostanza si tratta di attuare quella che viene chiamata comunemente "elaborazione del lutto".
L'altro elemento è che solo attraverso il riconoscimento delle responsabilità vengono ripristinate le regole che sono state infrante. Un delitto, qualsiasi delitto, costituisce sempre la rottura delle regole di convivenza della società civile, l'affermazione della giustizia diventa il ristabilimento di quelle norme.
Invece, l'impunità totale di quella strage ti fa sentire come estraneo a ciò che potrebbe configurarsi come "riparazione" o "risarcimento" del danno subito, e la sua mancanza ti mette nella condizione di non avere più un passato; sembra che la tua vita si sia fermata in quel momento e che da lì non puoi uscirne, e quando ci avviciniamo alla ricorrenza si ripropongono anche sensi di colpa difficilmente spiegabili.
Dici questo perché tu ti sei salvato, a differenza di tua moglie e dei tuoi amici?
M.M.:
In parte si. Vedi, io quella mattina, pochi secondi prima dello scoppio, ho salutato mia moglie e gli amici che moriranno con lei. La sera precedente la trascorremmo insieme ai coniugi Trebeschi (che moriranno in Piazza Loggia), a Bontempi, a Lucia (che rimarranno feriti). Erano compagni con i quali avevamo condiviso anni di lotte, d'iniziative. L'appuntamento era in Piazza e mentre stavamo avvicinandoci a loro, un compagno mi ha fermato per chiedermi un'informazione. Livia ha proseguito per unirsi a loro, mentre io mi sono fermato brevemente. Poco dopo stavo dirigendomi verso di loro, ho incrociato gli occhi di Livia, ci siamo salutati e... è arrivato lo scoppio. E' un puro caso che io sia qui a raccontare mentre mia moglie e gli altri amici e compagni sono morti.
A volte viene spontaneo pensare (di fronte a questa impunità totale, che come ti dicevo costituisce anche una sorta di annullamento del fatto in sé) se valeva davvero la pena andare in Piazza quel giorno... Loro ci hanno rimesso la vita, noi familiari abbiamo visto la nostra totalmente stravolta, ed il risultato quale è? Quello di vedere la strage ancora totalmente impunita e di trovarci ancora a chiedere una risposta a quelle Istituzioni che noi quella mattina eravamo in piazza a difendere ...
Nell'introduzione anch'io definisco la strage di Brescia proprio come hai fatto tu: una strage "particolare", in quanto attuata contro una manifestazione antifascista. Questo mi porta ad una domanda, a cui in parte hai già risposto. Per la tua storia personale mi sembra naturale che tu ti definisca "antifascista": quale è il significato del tuo antifascismo oggi?
M.M.:
La mia storia si lega ai valori dell'antifascismo fin dalle sue origini: io ho vissuto gli echi della Resistenza, anche se ero molto piccolo. Avevo 7 anni nel '45, ma ho molti ricordi di quel periodo; parlo del "peso" della guerra, della sensazione di un'infanzia in cui vivi e cerchi di giocare fra una bomba e l'altra; poi ricordo la grande miseria degli anni immediatamente successivi... La Resistenza e l'antifascismo sono valori che ho assorbito fin da quegli anni; prima ascoltando i racconti di chi l'aveva vissuta, poi entrando nel mondo del lavoro e, attraverso l'iscrizione al PCI nel 1959, conoscendo un gruppo di intellettuali - tra cui alcuni caduti in Piazza Loggia - che ha segnato la mia formazione.
L'iscrizione al PCI, assieme al sindacato, resta la più importante scuola di formazione della mia vita, è lì che ho maturato il mio impegno civile partecipando alle lotte che si sono sviluppate in quegli anni. L'"essenza" e l'"attualità" della Resistenza antifascista è stata ed è il mio punto di riferimento che possiamo racchiudere in due elementi: un principio di solidarietà (cioè il dare qualcosa di sé agli altri) e la fiducia nell'uomo; ossia la consapevolezza che l'uomo, anche di fronte alle difficoltà più grandi, può trovare la capacità di cambiare le cose...
Anche la scelta di diventare testimone delle stragi di quegli anni per me è stata una conseguenza immediata di quella "guida" antifascista che indirizzava la mia vita. Ricordo che il 28 maggio del 1974 ero da ore all'obitorio e ad un certo punto, dopo aver visto e capito tutto quello che era successo, non riuscivo più a stare in quelle stanze, sentii il bisogno di andare via da quell'ambiente di morte. Non riuscivo ad accettare quella situazione: quella mattina ci eravamo recati in piazza allegri; convinti e felici di partecipare ad una manifestazione non per una rivendicazione economica, ma per confermare gli ideali della libertà e della Resistenza. All'obitorio, non riuscivo più a sopportare la pesantezza di quella morte che avevo tutt'intorno a me... E me ne tornai proprio in quella piazza...
Lì si innescò un meccanismo a mio avviso straordinario: nel momento in cui entrai nella piazza e venni riconosciuto fui subito attorniato da persone che mi esprimevano solidarietà e vicinanza, certo, ma esprimevano pure "contentezza": la contentezza che io fossi tornato da loro e che fossimo di nuovo insieme. Era il segno che l'unità di quella mattina aveva subito un'interruzione, ma solo momentanea: non erano riusciti a spezzarla. "Ora siamo di nuovo assieme", molti dicevano, e questo era esattamente quello che pure io sentivo; e lì scattò la consapevolezza che io, da quel momento, avevo il compito di trasmettere la memoria di quanto era successo. Considera che erano giorni terribili, in cui poteva capitare di tutto. La reazione poteva essere di qualsiasi tipo, e degenerare magari in violenza, ma quando cominciai a girare l'Italia parlai proprio della civiltà della risposta della città di Brescia, quella risposta di cui ti parlavo prima, profondamente democratica ed allo stesso tempo politicamente "forte"...
Per tornare al senso della tua domanda sul significato attuale dell'antifascismo, direi che anche in questa esperienza si può vedere un filo comune proprio con la Resistenza: anche nelle mie testimonianze sulla strage di Brescia si tratta sempre di ricordare a tutti: "questa libertà che oggi avete è stata pagata duramente da chi è venuto prima di voi"...
Abbiamo parlato di una differenza fra verità storica e verità giudiziaria. Alla seconda purtroppo non siamo (o non siamo ancora) arrivati; ma anche la prima, seppure in un certo senso consolidata, viene spesso messa a rischio da operazioni tese a indebolire la memoria collettiva. Ad esempio, in occasione di una visita del Premier a Brescia tu scrivesti lamentandoti della "dimenticanza" del Primo Ministro di visitare il luogo della strage. Eppure, dicesti, "...quella strage non è un crimine privato ma pubblico". E quindi, aggiungo io, è particolarmente grave l'assenza, anche a livello di memoria e di conservazione della memoria, dello Stato. In altre parole: spesso si parla di "chiusura della stagione degli anni di piombo". Mi sembra però, come ho detto in altre occasioni, che si vorrebbe chiudere quella stagione senza aver ottenuto la verità giudiziaria su certi fatti e addirittura rimettendo in discussione la verità storica. Una sorta di chiusura "all'italiana" su cui volevo sentire il tuo parere...
M.M.:
Il tema della verità storica è fondamentale; anche perché penso si tratti ormai dell'unica "verità" che possiamo individuare e conservare. Dubito arriveremo mai a quella giudiziaria; e non dobbiamo dimenticare che un processo è solo il momento in cui si vanno ad individuare responsabilità personali a carico di un dato soggetto. La verità storica invece definisce il contesto complessivo dentro il quale sono avvenute quelle tragedie, definendone le ragioni, i perché.
Ma la verità storica ha anche un'altra funzione importante: ristabilire nuove forme di identità dentro le quali riconoscersi e stabilire nuove forme di convivenza. Mi spiego meglio: anche in quegli anni di forti contrapposizioni c'erano momenti in cui tutti si trovavano solidali: il 25 aprile, il 2 giugno, erano date su cui era fondata la convivenza civile, e tutte le forze democratiche si riconoscevano in esse. In quelle date non c'erano "nemici", ma solo avversari portatori di progetti politici diversi ma dentro un quadro Costituzionale condiviso.. Oggi questo, purtroppo, non esiste più.
Quando dissi che Berlusconi è venuto due volte a Brescia, sempre rifiutandosi di passare per Piazza della Loggia, non ho mai creduto si trattasse di uno sgarbo: era il segno di una precisa intenzione politica, che in seguito lo stesso Berlusconi ha sintetizzato dicendo sostanzialmente che la Costituzione andava cambiata perché aveva troppe influenze comuniste.
Bollare la Costituzione come comunista costituisce non solo un falso storico (essa è, al contrario, il prodotto di una pluralità di culture e di opinioni che trovarono una sintesi attraverso la comune esperienza della lotta al fascismo), ma ha un preciso scopo: serve a metterla in discussione per ridisegnarla come strumento della maggioranza; e penso che subordinare una Costituzione a questa o quella maggioranza sia paradossale e sbagliato sul piano del metodo: ed è proprio sul piano del metodo che esiste l'essenza stessa della convivenza democratica.
Ti faccio questo discorso perché è chiaro che in un contesto del genere difficilmente potrà emergere una verità storica condivisa su Piazza della Loggia o, in generale, su quegli anni. Credo che una dimostrazione in questo senso l'abbia data il governo Berlusconi subito dopo la vittoria elettorale del 2001: fra le sue prime azioni ci fu la decisione di non rinnovare la Commissione Stragi (che pure era a pochi mesi dalla conclusione del proprio lavoro, che avrebbe portato ad un documento da discutere in Parlamento) e l'apertura contestuale della Commissione Mitrokhin... Intendiamoci: non ho nulla contro questa Commissione in sé; ma mi sembra chiaro il messaggio che trasmette questa decisione del centro-destra: "voi del centrosinistra avete fatto la Commissione Stragi "contro di noi"; noi la chiudiamo e ne facciamo una "contro di voi". Ad un certo punto ci accorderemo, le chiuderemo entrambe e metteremo una pietra sul passato...". E' chiaro che in questo modo la verità storica viene affossata definitivamente.
E da questa operazione scaturiscono altre conseguenze negative: delle stragi non si parla più, e quando si menzionano gli "anni di piombo" lo si fa solo per parlare del terrorismo di sinistra; che va condannato senza riserve (e non bastano le parole per esprimere questa condanna fino in fondo), ma non può essere cancellato un pezzo di storia, come si sta facendo con gli anni delle stragi.
Il tema della verità storica dovrebbe avere un passaggio preliminare fondamentale: ognuno deve cominciare facendo i conti con la propria storia. Ti faccio un esempio: quando Papa Giovanni Paolo II ha chiesto perdono per i tragici errori commessi dalla Chiesa nel passato, lo ha fatto a nome dell'intera Chiesa Cattolica; non si è trincerato dietro patetiche scuse, non ha detto "beh, sono errori che appartengono al passato della Chiesa, ormai non più rappresentativo", si è preso sulle spalle quegli errori senza incolpare nessun altro, invitando ognuno a guardare dentro la sua parte, dentro la sua storia. Proseguendo su questo parallelismo, non si può cancellare il passato del MSI solo perché si cambia nome...
A Fini va riconosciuto il merito d'aver riconosciuto gli errori del fascismo storico (leggi razziali ecc.), ma sugli anni 70 resta vago e reticente. E in quel periodo lui c'era, così come tutta l'attuale dirigenza di AN. Quando poi gli è stato chiesto di aprire gli archivi del vecchio MSI si è difeso dicendo che ormai non sa più neppure dove possano essere quelle carte...
A mio avviso c'è un altro elemento di riflessione che nasce ancora da una citazione di Giovanni Paolo II: parlo di quell'affermazione contenuta nel suo ultimo libro ("Memoria e identità") in cui definisce il nazismo come "male assoluto" ed il comunismo come "male necessario". Si tratta di una frase che è stata poco sottolineata: il comunismo presentava delle domande sociali fondamentali; le risposte sono state sicuramente tragiche e negative e vano condannate senza riserbo, ma la tragicità delle risposte non ha certo annullato la sensatezza e l'attualità di quelle domande.
I revisionisti, invece, vogliono annullare le differenze fra nazismo e comunismo, mentre quelle differenze vanno tenute ben presenti non per assolvere ma per capire! In Italia, al contrario, quello sciatto revisionismo che le vuole annullare a cosa ci ha portato? Addirittura a proporre una legge che equipara i partigiani ed i repubblichini di Salò, con la scusa che "i morti sono tutti uguali"...
Il problema non è il riconoscimento delle morti (di fronte alle quali si porta rispetto necessario), ma l'annullamento della diversità delle ragioni per cui quei ragazzi hanno combattuto e sono morti. La Storia, come la Costituzione, non è un optional: c'è chi si è battuto per negarla e chi si è battuto per scriverla e, oggi, per difenderla.
Questo mettere tutti sullo stesso piano sta generando anche tutta una serie di rigurgiti neofascisti da non sottovalutare.
Ti sembrerà semplicistico, ma a proposito di questa nuova ondata di neofascismo penso anche alla violenza degli stadi, di cui si parla molto ma con una banalità disarmante, e soprattutto al ritorno di una violenza ben connotata politicamente, con tanto di cori fascisti, simbologie nazifasciste eccetera.
M.M.:
Certamente. Non solo agli stadi puoi vedere molte svastiche, ma ti accorgi con quanta leggerezza siano tollerate. E puoi notare che nessuno si prende la briga di spiegare a quei "tifosi" che dietro a quelle simbologie ci sono ideali aberranti e milioni di morti. Si dice che si dovrebbe superare quella fase storica, ma il superamento è dato dal riconoscimento, non certo dall'oblio...
Non è possibile sentire esponenti del centro destra, come La Russa, dire che al massimo il 25 aprile lo ricordano assieme ai partigiani "bianchi". La Russa forse dimentica la storia di Edgardo Sogno? Dimentica le accuse che furono mosse a Violante, all'epoca magistrato, quando lo arrestò? Dimentica i contenuti del testamento di Sogno con la conferma del "golpe incruento" che intendeva fare e con la lista dei ministri già pronta? Almeno di questo bisogna dare atto a Cossiga: fu l'unico che, dopo la pubblicazione di quel testamento, riconobbe che bisognava chiedere scusa a Violante...
Le forze politiche, tutte, dovrebbero ricordare i valori fondanti della nostra repubblica, ricordare da dove veniamo e quanto è costata questa democrazia. Occorrerebbe un minimo di rispetto per chi ha lottato e dato la vita per conquistarla quella Carta Costituzionale. E' questo il tema di fondo: per arrivare alla verità storica occorre prima la volontà di saper guardare ognuno al proprio passato con sincerità.
Il 28 maggio è ormai vicino: mi sembra doveroso parlare delle iniziative che avete in programma in occasione del prossimo anniversario della strage.
M.M.:
L'iniziativa più importante di quest'anno sarà la conclusione di un viaggio che è cominciato lo scorso 27 gennaio (giorno della memoria) con "un treno per Auschwitz". Si tratta di un'iniziativa organizzata innanzitutto dall'archivio storico della Camera del Lavoro, e da altre Associazioni noi compreso e che ha visto la partecipazione di circa 600 studenti. Un viaggio ben preparato con dibattiti e ricerche all'interno delle singole scuole. Quel viaggio è stato filmato, ed il film sta già girando nelle scuole, con l'apporto degli studenti che hanno vissuto quell'esperienza.
La seconda tappa di questo viaggio sarà il 25 aprile, e l'orazione ufficiale la terrà l'ex Ministro della Giustizia del governo Prodi, Giovanni Maria Flick, che era intervenuto anche ad Auschwitz.
Il viaggio si concluderà proprio il 28 maggio, in Piazza della Loggia, dove uno di questi studenti racconterà quest'esperienza che ha collegato fisicamente e simbolicamente, Auschwitz a Brescia. Simbolicamente perché ha unito due stagioni diverse che hanno in comune questo elemento della violenza che, purtroppo, non fa ancora parte solo del passato.
Riproporremo poi un'iniziativa che ha cominciato a svilupparsi lo scorso anno: "un fiore per la verità". L'anno scorso, attraverso la partecipazione di tantissimi cittadini, fu costruito un muro di fiori; quest'anno costruiremo un tappeto, sempre con la partecipazione di tanta gente, innanzitutto giovani e giovanissimi, per creare ancora una volta questo elemento di condivisione, in una città che sa ritrovarsi attorno alla propria storia.
Ovviamente ci saranno anche concerti, dibattiti ed altre iniziative. Noi, come Casa della Memoria, stiamo per pubblicare un libro che riassume tutte le iniziative dello scorso anno; lo metteremo poi a disposizione delle scuole.
Infine, il 19 maggio cominceremo un nuovo viaggio che si svilupperà fino al maggio 2006, il cui tema sarà: "La memoria inquieta del '900", dalle violenze più note ai genocidi dimenticati, dai campi di concentramento alla tragedia degli Armeni, ai Gulag. Ma vogliamo anche far emergere in una tavola rotonda l'insegnamento di quel secolo di crudeltà che ha prodotto anche nuovi diritti, nuove norme come quelle dei "crimini contro l'umanità"; ossia come una violenza terribile possa costituire insegnamento, affinchè non abbia più a ripetersi...e questo dipende molto dal nostro agire quotidiano, dalla capacità di assumerci responsabilità.
NOTE:
(1) Strage di Bologna: vedi l'intervista con Paolo Bolognesi (Presidente della "Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna")
http://www.ecomancina.com/lastragedibologna.htm
(2) Junio Valerio Borghese: vedi questo link:
http://digilander.libero.it/ladecimamas/intro.htm
(3) Edgardo Sogno: vedi questo link:
http://web.tiscali.it/almanacco/sognorepubblica.htm