"Una bella giornata, ho appena finito di commentarla con Benedetta Tobagi", sospira Manlio Milani, presidente della Casa della Memoria e anima dei familiari delle vittime di Piazza della Loggia.
Credevate nella riapertura della vicenda giudiziaria?
"Sempre, fino in fondo. Era illogico che Digilio, l'artificiere della bomba, avesse fatto tutto a insaputa di Maggi, che decideva tutte le operazioni di Ordine nuovo nel Nordest. E il rinvio di Tramonte certifica il depistaggio del generale Maletti (ex capo del controspionaggio, ndr) e di chi tenne le carte nei cassetti".
Ordinovisti e pezzi di Stato, dall'allora capitano dei carabinieri Francesco Delfino al Sid. Eppure saranno riprocessati solo in due, e 40 anni dopo. Non è un paradosso?
"Suona amaro, ma è importante. Perché il nuovo processo può eliminare ombre su responsabilità acclarate e trovarne nuove di individuali, oltre a quelle processuali di Digilio, Buzzi e Soffiati. E potremo rovesciare il paradosso pasoliniano, io so ma non ho prove: oggi le prove le abbiamo, i nomi non sono sufficienti. Ma per Zorzi, che nel 2001 a Tokyo mi disse che non si fidava dei magistrati italiani, siamo stati noi a non chiedere la revisione. Delfino continua a non dire ciò che sa: il lato più oscuro di questa vicenda, lo ha già detto il procuratore generale".
Ha pensato a sua moglie Livia e agli altri morti di quel 28 maggio?
"Sono tornato mentalmente a quella mattina. Mia moglie, i miei amici: oggi quelle morti ritrovano senso storico. Non so se parlerò per il quarantennale in Piazza della Loggia. Ma so che quel manifesto amaro, "In questo luogo non è successo niente", lo possiamo riscrivere. Sappiamo delle responsabilità di On e dei servizi atlantici. Anche grazie a magistrati che hanno ricercato brandelli di verità: ci ridanno senso di appartenenza alle istituzioni".