Rete Invibili - Logo
Piazza della Loggia: nuova pista sulla morte di Silvio Ferrari
Pino Casamassima
27 gennaio 2014

La morte di Silvio Ferrari non fu un incidente ma un omicidio e forse quella morte nasconde il sospetto che si sia voluto far tacere un pericoloso e potenziale testimone, un uomo di collegamento tra il neofascismo veneto e milanese. Ci sarebbe una testimonianza importante a dare vigore ad una nuova inchiesta del pubblico ministero Francesco Piantoni. Un'inedita testimonianza che arriva da una donna all'epoca amica di Ferrari ascoltata ieri dal colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo, che sta lavorando per l'ultimo pm della strage di Brescia. «Ermanno Buzzi e Silvio Ferrari si conoscevano»: è questo che afferma la donna. Una circostanza sempre negata dal giro del Ferrari e acquisita come dato di fatto dai giudici di primo grado di Brescia e dalla Corte d'Appello di Venezia, secondo i quali a causare la sua morte era stata «l'imperizia nella confezione della bomba».

La nuova teste ha messo a verbale che «un pomeriggio entrai con Silvio in un bar di Brescia e lui salutò una persona che mi presentò come Ermanno Buzzi, che poi riconobbi nelle fotografie pubblicate dai giornali dopo la strage. Sono passati tanti anni ma credo fosse la fine del 1972, perché ricordo che Silvio si era appena iscritto all'università a Parma». Silvio Ferrari è sempre stato descritto come un solitario, «un cane sciolto» del sottobosco eversivo bresciano. Una tesi che però trova degli oppositori - come il dottor Francesco Piantoni, che la ritiene fasulla - e che porta a conclusioni fasulle. Come la stessa morte del neofascista, liquidata come una conseguenza d'imperizia. Ferrari non era alla sua prima azione. La perizia tecnica, escludendo che l'esplosione della bomba fosse stata accidentale, affermò che «avvenne nel momento stabilito». Cioè, le 3 di notte.

Per un'altra perizia, al momento dello scoppio, il Ferrari si trovava con i piedi per terra e i gomiti sul manubrio della Vespa col motore acceso, aspettando che la guardia notturna finisse il suo giro e si allontanasse. A quel punto, piazzato l'ordigno, sarebbe tornato a casa. Alle 4 - orario indicatogli come quello del timer - avrebbe dormito a casa. Silvio fu ingannato e ucciso. La conoscenza del Buzzi dimostra la contiguità del Ferrari col giro neofascista bresciano.

Oltre a verbalizzare questa testimonianza, il colonnello Giraudo ha effettuato anche un riconoscimento anagrafico, sempre in relazione alla morte del Ferrari. Silvio aveva deciso di mollare tutto non, come s'è detto, perché suo padre lo avesse messo alle strette («o studi seriamente o vieni a lavorare in azienda e molli la politica»), ma perché sapeva quel che stava per accadere a Brescia. Ritirandosi, diventava oltremodo pericoloso, un testimone pronto a parlare. Annunciò che avrebbe chiuso compiendo l'ultimo attentato. Poi, solo lavoro. Ma prima c'era quella strage da impedire e cercò di fare sapere quello che stava per accadere. Secondo gli inquirenti si è rivolto a gente sbagliata.