Il suo nome non è mai stato reso noto. Di lui si sapeva solo che nel 1974 era un punto di riferimento per i ragazzini veronesi che gravitavano attorno a Ordine Nuovo. E che la sua identità era scritta nero su bianco sulla copertina del fascicolo 69/60 aperto dal sostituto procuratore Francesco Piantoni nel 2011 sulla strage di piazza della Loggia. Un'inchiesta parallela - a quella che il 14 aprile scorso ha portato all'assoluzione in appello di Maurizio Tramonte, Delfo Zorzi, Francesco Delfino e Carlo Maria Maggi - che seguiva la così detta «pista veronese».
Era lui, uno degli ultimi spiragli per arrivare alla verità sull'attentato che costò la vita a otto persone e ne ferì altre cento. Era. Perché questo sconosciuto indagato non è più in vita. Quindi, nemmeno il fascicolo che portava il suo nome. Ma non è detta l'ultima parola. Sul tavolo della procura ne resterebbe aperto comunque uno a carico di ignoti. Perché il «vulnus», quello non è morto di certo.
A innescare la nuova inchiesta era stato Giampaolo Stimamiglio, superteste sessantenne di casa in una piccola località del Veneto che negli anni Settanta era legato sia a Ordine Nuovo che all'organizzazione clandestina Nuclei di difesa dello Stato. Già sentito nel processo di primo grado sulla strage davanti alla corte d'assise di Brescia, in aula non aveva dato adito a clamorosi colpi di scena. Fino a quando, nel 2011, non decise di bussare alla porta dei giudici per «togliersi un peso», disse, che non gli permetteva di «vivere in pace» con se stesso.
Proprio al pm Francesco Piantoni indicò la fatidica «pista veronese», al punto che dopo le sue rivelazioni sul registro degli indagati finirono due persone. Un adulto veronese, ormai deceduto, appunto, e un minore: Marco Toffaloni, che all'epoca della strage di anni ne aveva quasi 17. Proprio lui, ragazzino, avrebbe confidato a Stimamiglio di aver giocato un ruolo «non marginale» nella strage del 28 maggio 1974. Da lì lo stralcio della sua posizione alla procura dei minori e l'iscrizione nel registro degli indagati il 27 aprile di due anni fa. Ma anche in questo caso l'ennesima inchiesta sulla strage «impunita» pare avviarsi all'archiviazione. Già, perché il gip del tribunale dei minori ha rigettato la richiesta di proroga (la seconda) avanzata dal procuratore della Repubblica Emma Avezzù. Che per ben due volte aveva convocato Toffaloni per interrogarlo. Ma non si è mai presentato.
Alla base dell'istanza per una nuova proroga delle indagini il decreto del 1998, convertito e reiterato nel 2000, che per il delitto di strage dispone di prolungare l'inchiesta se collegata a un procedimento pendente. Il capo d'imputazione c'era. Questione di interpretazione, sulla «non soluzione di continuità» dei procedimenti. Uno legato all'altro.
Lo stralcio del filone veronese, alla procura dei minori (all'epoca in via Malta) era arrivato in effetti nel 2010, quando ancora si aspettava la sentenza di primo grado in corte d'assise. E il problema è che, a questo punto, i termini per un rinvio a giudizio sono scaduti. Unica alternativa, l'archiviazione. Parola che, al di là dei tecnicismi giuridici o dei verdetti emessi più o meno in punta di diritto, getta un'ombra di amarezza su una pagina drammatica di storia per chi in questa città ci vive e attende risposte da quarant'anni, chi in piazza c'era. Chi ancora piange una persona cara straziata dalla bomba.
L'ultima parola non è ancora detta. Il prossimo 20 febbraio è in calendario l'ultima tappa dell'iter processuale dell'attentato bresciano. Davanti ai giudici della quinta sezione della Cassazione sarà discusso il ricorso (depositato il 12 ottobre) contro la sentenza d'appello che il 14 aprile 2012 ha confermato l'assoluzione in primo grado (articolo 530, secondo comma) di tutti gli imputati: ne chiedono uno nuovo i pm Roberto di Martino e Francesco Piantoni per Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Maurizio Tramonte, tre dei quattro imputati assolti in secondo grado. Le parti civili, invece, chiedono un nuovo processo solo per Carlo Maria Maggi (due anche per Delfino), affinché altri giudici valutino se esistono «prove sufficienti per condannare i vertici di Ordine Nuovo». Sfuma, intanto, la pista veronese.