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Manlio Milani: «Abbiamo le prove, ma non i nomi»
Nino Dolfo
28 maggio 2013

A che punto è la notte? Dopo 39 anni, durante i quali si sono svolte cinque fasi istruttorie e otto fasi di giudizio con altrettante sentenze, la vicenda giudiziaria relativa alla strage di Piazza della Loggia non ha ancora trovato un colpevole. La Corte d'Assise di Appello di Brescia lo scorso anno ha assolto tutti gli imputati. Ingiustizia è stata fatta? La verità si è perduta definitivamente? Manlio Milani, presidente della Casa della memoria, che ha i capelli bianchi e la stessa pervicacia delle nonne di Plaza de Mayo, non la pensa così.

«Intanto aspettiamo la sentenza della Cassazione del 20 febbraio 2014. Noi abbiamo fatto ricorso su un punto centrale: come è possibile che Carlo Digilio, uno dei presunti responsabili, come si legge nelle motivazioni della sentenza di Appello, il fabbricatore dell'ordigno, abbia agito all'insaputa di Carlo Maria Maggi, il leader veneto di Ordine Nuovo? Per noi c'è una contraddizione e pensiamo che si possa procedere a un nuovo dibattimento. Se la Corte di Cassazione confermerà le indicazioni, potremo uscire finalmente dal buio totale. Avremmo la conferma di alcuni colpevoli, si rivedrebbero le modalità con cui si è svolto il processo di primo grado del '79, verrebbe confermata l'intuizione popolare poi confermata dalle varie sentenze. E cioè che quella strage, e non solo quella, è ascrivibile alla destra eversiva, la quale aveva come movente l'anti-comunismo e si è avvalsa della copertura di apparati dello Stato».

La verità è la verità, che la dica Agamennone o il guardiano dei porci, si legge in un aforisma filosofico riportato da Xavier Cercas. Il re greco è pienamente d'accordo, il suddito invece ne diffida. E fa bene, perché la verità non è mai unica e soprattutto è dubitabile quando è quella del potere. Stanno così le cose?

«In un processo si confrontano due verità. Con la sentenza, una di queste soccombe, ma pur sempre rimane. La verità giudiziaria è comunque un punto essenziale, perché fornisce già un quadro. Ma verità è anche cercare di capire le ragioni di chi ha consumato un reato. Che cosa lo ha mosso. In questo senso io accetto la verità di Agamennone, perché l'aspetto giudiziario è un momento importante, ma questo non deve limitare la ricerca delle ragioni, delle dinamiche che stanno dietro un fatto. La verità è ricerca continua e questo mette in discussione proprio la verità del potere».

La memoria come militanza civica. Le associazioni delle vittime delle stragi hanno avuto un ruolo nevralgico di opposizione ai muri di silenzio. Guai non fossero esistite!

«Quelle stragi, quei misteri (Ustica, per esempio) riguardano non sole le persone colpite, le vittime, ma tutta la società. È questo il peso della eredità che ci porta alla testimonianza. È indubbio che i buchi neri creino sfiducia nelle istituzioni e mettano in crisi il sistema democratico e noi questo non dobbiamo accettarlo. Io vado spesso nelle scuole per cercare di spiegare cos'è la violenza. Nelle stragi - dico ai ragazzi - non esistono le persone, esiste la quantità del massacro usata come messaggio. La strage distrugge la vita delle persone e colpisce anche chi sopravvive, perché annienta relazioni umane e sogni. Raccontare è testimoniare, e per me significa riportare in vita le persone care, averle ancora con me. Certo, le associazioni hanno svolto una funzione insostituibile di supplenza, sono state pietre d'inciampo: noi c'eravamo e volevamo sapere».

«Abitiamo un luogo e viviamo una memoria», è una frase di Saramago che lei ama citare. È lì che è contenuto il senso dell'esistenza?

«In verità io di luoghi ne ho due. Innanzitutto le aule del tribunale sono state per me luogo di formazione. I dibattiti mi hanno fatto vedere altri punti di vista e il mio giudizio è diventato più articolato. E poi naturalmente Piazza della Loggia. Una piazza che ha fatto sì che la memoria si fissasse nel tempo e che mi riporta a vivere il prima e a riflettere su cosa è stato il dopo».

Si cita sempre Pasolini quando si evoca l'impotenza della giustizia («Io so i nomi ma non ho le prove...»), lei invece ribalta la prospettiva («Abbiamo le prove, ma non abbiamo i nomi...»).

«Pasolini è stato un poeta illuminante, ma la situazione è cambiata. Oggi abbiamo le prove, ma, se guardiamo ai risultati, non abbiamo i nomi. Forse li avremo. E qui si apre uno scenario terreno importante. Con il Presidente Napolitano si è fatto però un decisivo passo in avanti, nel senso che ha pubblicamente riconosciuto che le stragi sono imputabili alla destra e che ci sono delle precise responsabilità da parte dello Stato. Due i suoi gesti significativi: primo, nel 2009, ha ricevuto contemporaneamente la vedove Pinelli e Calabresi. Un episodio passato via come una sorta di familismo all'italiana, ma non è così. Secondo, nei nostri confronti (la mia nomina di grand'ufficiale) ha riconosciuto il nostro operato e implicitamente ci ha spinto a proseguire. E noi andiamo avanti. Senza illusioni, ma senza disperare, come diceva la mia Livia».