Brescia. Il processo si è concluso da poche settimane ed è già polemica. Le dichiarazioni rese mercoledì dal generale Francesco Delfino, uno dei cinque imputati, tutti assolti sia in primo sia in secondo grado, sollevano proteste anche vibrate, in alcuni casi vera e propria indignazione. NON È PIACIUTO quello scaricare su alcuni indagati della prima inchiesta, poi tutti assolti, le responsabilità dell'eccidio del 28 marzo 1974. E quel «loro sapevano anche se non hanno agito», sempre rivolto agli indagati della prima inchiesta, ha sollevato reazioni a dir poco roventi. E' il caso dell'avvocato Sergio Arcai, che interviene, nella propria veste professionale per «difendere l'onorabilità del fratello Andrea», che, per la strage, giovanissimo, venne processato e assolto, al termine del processo di primo e secondo grado, per non aver commesso il fatto. Nella nota Delfino viene descritto, tra l'altro come «l'unico rimasto in Italia a difendere la sua inchiesta del 1974 - 1975, che venne dichiarata infondata da numerose sentenze della magistratura». Ma contro Delfino si schiera anche e soprattutto Manlio Milani, presidente dell'associazione familiari vittime della strage di piazza Loggia. «Delfino non è mai voluto venire al processo a dire la sua verità - ricorda Milani -. Ci è stato detto che era per motivi di salute. Da questo punto di vista, bisogna tenere presente che siamo riusciti a sentire il generale Maletti in videoconferenza dal Sudafrica. Se ne sarebbe potuta predisporre una anche per lui, per consentirgli d'intervenire senza affrontare il viaggio». Il fatto che Delfino non sia mai stato presente né al processo di primo grado né tantomeno al processo d'appello per Milani assume un significato particolare, alla luce di quello che l'ex generale ha detto ai giornalisti due giorni fa: «Le sue dichiarazioni sono marchiate dall'assenza dal processo - sottolinea -. C'è un vuoto, relativamente a questi due processi, come se le veline di Tramonte, giudicate veritiere, non fossero mai esistite». SECONDO Milani «significa che Delfino non ha alcuna intenzione di ripensare a quel periodo, intende ignorare completamente le risultanze processuali, la scoperta dei documenti avvenuta successivamente alla sua inchiesta. E dovrebbe spiegare perchè tutti sapevano meno che lui. Nessuno ovviamente può accusare che lui sapesse prima», Milani ribadisce quanto già dichiarato tante altre volte, in questi 38 anni di calvario giudiziario percorso senza arrivare a un solo colpevole per la strage: «Noi accettiamo le sentenze, ma dovrebbe imparare a farlo anche lui. Se fosse venuto al processo avrebbe certamente sentito ciò che è stato detto nei suoi confronti. E lui può dire quello che vuole, ma le sentenze sulle sue indagini dicono che non hanno portato a nulla». Ma Milani torna anche su un aspetto, su un collegamento che non può, a suo dire venire meno, quello tra presenza ai processi in cui Delfino era imputato, con l'accusa di concorso in strage e le esternazioni recenti: «La sua credibilità è messa in discussione dai suoi comportamenti. Sarebbe stato utile se fosse venuto. Gli avremmo chiesto per esempio dei suoi rapporti con i carabinieri di Padova». Ed è probabile che se Francesco Delfino fosse venuto a deporre nel processo di primo grado, le domande sarebbero state parecchie per lui. E' andata diversamente e ora queste esternazioni a bocce ferme, quando manca solo l'eventuale giudizio della Cassazione, scatenano repliche di chi ha vissuto quegli anni da una parte o dall'altra. Da quella di chi si doveva difendere da pesantissime accuse a quella quanti cercavano risposte per quanto subito.