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Strage di Piazza della Loggia, il giallo delle «veline» nascoste

BRESCIA - Il mistero delle «veline» della fonte Tritone: annunciavano ai servizi segreti che al Nord sarebbe scoppiata qualche bomba, ma furono tenute nascoste. Martedì si torna a parlare in un'aula di giustizia della strage di piazza della Loggia, ultimo processo che ancora tenta di far luce sulla tragica stagione delle bombe in Italia: davanti al Corte d'appello di Brescia si apre il processo di secondo grado agli ordinovisti Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi, al neofascista Maurizio Tramonte e all'ex ufficiale dei carabinieri Francesco Delfino, accusati dell'ordigno esploso il 28 maggio del '74 e già assolti in primo grado.

Sarà un «processo fotocopia» del precedente? Non pare: la Procura intende portare all'esame dei giudici nuovi elementi in grado di rafforzare la tesi che l'attentato fu pianificato da ambienti eversivi dell'estrema destra mentre rappresentanti dello Stato posavano lo sguardo altrove.

L'elemento più suggestivo riguarda le informazioni che Maurizio Tramonte, l'infiltrato identificato come fonte Tritone, trasmetteva ai servizi segreti nel periodo della strage. Scoperti casualmente solo nel '96, quegli appunti narrano di incontri avvenuti ad Abano Terme o in Veneto a cui avrebbero partecipato Zorzi, Maggi e lo stesso Tramonte, che poi riferiva ai servizi segreti: erano ritenuti un punto fermo dell'inchiesta, che per la prima volta non si basava solo su traballanti confessioni di pentiti ma su documenti. E invece la «fonte Tritone» non fu sufficiente a motivare condanne; anche perché, si è sempre detto, quelle «veline» risalgono ai primi di luglio del '74, dunque furono scritte a strage già avvenuta. Una rilettura delle carte consentirebbe ora invece di retrodatare quelle informative, forse addirittura a maggio: significherebbe che gli apparati dello Stato, pur a conoscenza che Ordine nuovo stava preparando attentati, lasciarono correre e si tennero il materiale nei cassetti. Per chiarire questo aspetto l'accusa - che anche in appello sarà rappresentata dai pm Roberto Di Martino e Francesco Piantoni - chiederà la testimonianza di Fulvio Felli, il carabiniere incaricato di seguire la «fonte Tritone».

«Ma più in generale punteremo a riaffermare la credibilità del pentito Carlo Digilio» afferma il pm Di Martino. Digilio, morto di malattia poco dopo una lunga confessione, fu ritenuto contradditorio dai giudici di primo grado: disse tra l'altro che l'esplosivo usato in piazza della Loggia, contrariamente a quanto stabilito dai periti della Corte, non era tritolo.

La Procura chiede di riascoltare per questo motivo i periti intervenuti nel '74 che invece sembravano dar ragione al pentito. Difficile invece che verrà introdotto in questo processo il nuovo collaboratore di giustizia che alcuni mesi fa ha cominciato a essere ascoltato dalla Procura di Brescia sempre a proposito dell'attentato di 38 anni fa: difficoltà di natura procedurale, oltre alla riservatezza che ancora circonda queste confessioni, ne rendono problematica la sua comparizione in aula.