Silenzi, voci, applausi. Commozione e determinazione: nel ricordo e nella volontà di arrivare alla verità e dare pace al vagare senza meta di quelli che Manlio Milani, presidente della Casa della Memoria, chiama «gli otto fantasmi che come un'ombra aleggiano su di noi». Sono le vittime della strage di piazza Loggia. E per ricordarle, ma anche per condividere l'amarezza della sentenza che il 16 novembre ha assolto i cinque imputati dell'attentato (con formula dubitativa), per continuare a credere che la politica sia fondata su libertà e democrazia, la Casa della Memoria ha deciso di incontrare la città nella sala Piamarta di via San Faustino.
«Senza parole, non dimentichiamo, testimoniamo insieme». E la città ha risposto. Ha risposto con la rabbia verso l'impunità, con il calore, con la riflessione condivisa e le lacrime: con quel senso di memoria comune che ha fatto da tacito filo conduttore alla serata. Una serata fatta di testimonianze, di chi quel 28 maggio del 1974 era in piazza Loggia, e dell'analisi più tecnica sulla sentenza per voce degli avvocati di parte civile.
È quando sulla parete della sala viene proiettato il filmato originale di quella tragica mattina in piazza che tutti, in un attimo, si riversano lì, sotto l'orologio o davanti al municipio, 36 anni fa. Sono le 10.12 quando il boato (che le perizie attribuiranno a tritolo di origine ora civile ora militare) rompe la manifestazione sindacale: «È una bomba, aiuto...», si riesce a sentire. «State calmi», ripete Franco Castrezzati, segretario della Cisl che stava parlando al microfono. Le immagini cristallizzano la paura di chi sopravvive e il dramma di chi, invece, non ce la fa: c'è Manlio Milani che si china disperato sul corpo della moglie, mentre le bandiere coprono i corpi. Clementina Calzari Trebeschi, Alberto Trebeschi, Bartolomeo Talenti, Euplo Natali, Vittorio Zambarda, Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi Milani, Luigi Pinto: scorrono i nomi e i visi delle vittime e, alla fine, Milani scrive: «Solo la verità storica e politica ci può restituire la fiducia in questo paese». «Sono pietre fredde, aspettano, hanno pazienza. E molta. Non gridano, non fanno chiacchiere - scrive il poeta Franco Loi -. Sono là, sono uomini ammazzati in un giorno di gioia. Loro, qui. Qui con noi. Qui, che sognano, che guardano qui, che aspettano». L'applauso scatta spontaneo e stralcia il silenzio, ma la proiezione continua, e sovrappone gli spezzoni originali alle immagini della sentenza pronunciata dal presidente della Corte d'Assise Enrico Fischetti, che due settimane fa ha assolto Maurizio Tramonte, Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Francesco Delfino e Pino Rauti. Lo sgomento negli occhi di Milani è speculare a quello di 36 anni prima. «Penso ai morti, al lavoro incredibile condotto dai magistrati , e la cosa che mi pesa di più è non riuscire a vedere fuori dall'aula la volontà di raggiungere la verità storica e politica di questa strage - dichiara Milani a caldo, dopo la lettura del dispositivo -. Una verità che potrebbe finalmente riconciliarci e permettere a questi otto corpi di riposare in pace». È dal bisogno di affiancare verità storica e giudiziaria che Milani parte per riferire alla città un traguardo importante, o meglio, un primo passo: l'incontro tra le associazioni vittime delle stragi e il Copasir presieduto da Massimo D'Alema, fissato per dopodomani alle 9, a Roma.
«INIZIERANNO LE audizioni per parlare della legge 124 del 2007, quella cioè che prescrive la temporizzazione del segreto di Stato dai 15 ai 30 anni, ma che, ancora oggi, non presenta i decreti applicativi necessari a darne piena attuazione. Per raggiungere la verità storica dobbiamo prima di tutto passare dalla trasparenza democratica: aprire gli archivi ministeriali, tutti, e catalogare i fascicoli - sottolinea Milani -. In questo processo reticenze, falsità e solidarietà ideologica di gruppo sono stati forse il vero segreto di Stato, vale a dire chi sa, ma non parla. Ma se 36 anni fa fossimo entrati in possesso di alcuni elementi probatori scoperti solo negli anni '90, come le veline della fonte Tritone, forse qualcosa sarebbe cambiato». Intanto, l'appello lanciato per togliere il segreto di Stato su stragi e terrorismo è arrivato a 40 mila firme.
Cinque istruttorie, 3 processi, 8 gradi di giudizio «e una nuova ferita per chi non vuole dimenticare». «Questa serata è nata da un'idea spontanea dopo la sentenza - spiega Carla Bisleri, già assessore in Loggia -. È un incontro per condividere l'amarezza e testimoniare insieme, per continuare a credere che giustizia sarà fatta; è un invito di persone a persone, in questo primo 28 del mese, dopo il verdetto». Un verdetto che, ancora una volta, i legali di parte civile tentano di chiarire, ma non prima di rilanciare il ricorso in Appello una volta analizzate le motivazioni per capire che cosa abbia spinto la Corte a uniformare le posizioni di tutti gli imputati prima, e propendere per l'assoluzione poi. «C'erano differenze sostanziali tra i cinque indagati - ribadisce l'avvocato Andrea Ricci -: per Tramonte e Maggi continuiamo a credere sussistano elementi forti. Ma tenteremo di scremare il materiale per affermare il principio di responsabilità: perché non abbiamo costruito un processo su un teorema, ma su prove concrete». Ai colleghi Silvia Guarneri e Francesco Menini il compito di ricostruire l'iter processuale (dal rinvio a giudizio del 15 maggio 2007) con i suoi 1.000 testimoni e 900.000 pagine di fascicoli, e il depistaggio dei servizi segreti. E non è mancato lo spazio per la musica, scritta da Mirko Dellera, inserita nel cd «Dieci e dodici», realizzato in collaborazione con la Casa della Memoria.