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La sentenza di Brescia: lo Stato e le stragi.
Aldo Giannuli
22 novembre 2010

Come è noto, alcuni giorni fa, la Corte d'Assise di Brescia ha mandato assolti tutti gli imputati della strage del 28 maggio 1974. In molti mi hanno sollecitato a commentare il fatto.
Sono stato consulente del Pubblico Ministero in quel processo -che è ancora in corso, perchè è possibile che il Pm si appelli. Pertanto non è nè corretto nè elegante che mi io mi pronunci in merito, sia per rispetto dei diritti della difesa, sia perchè la Corte deve ancora depositare le motivazioni. Per ora è noto solo il dispositivo. Avendo seguito passo passo sia l'istruttoria che il dibattimento, posso dire di essere stato moderatamente sorpreso da questo esito. Dunque mi asterrò da ulteriori commenti in merito.
Posso però fare delle considerazioni più generali in merito all'atteggiamento della magistratura a proposito delle stragi fasciste (si: anche se la verità processuale vorrebbe che si tratti di stragi ad "opera di ignoti", in sede storica è raggiunta, e non da ora, la consapevolezza che si è trattato di stragi ad opera della destra fascista protetta ed istigata da apparati dello Stato e da settori dei partiti di maggioranza).

Come si sa, mentre nei casi riguardanti il terrorismo rosso si è spesso formata una verità processuale e sono fioccate le condanne (peraltro meritate), nel caso del terrorismo stragista nero questo è stato possibile solo in pochissimi casi molto particolari: per la strage di via Fatebenefratelli dove fu condannato il solo Bertoli (arrestato in flagranza), per la strage di Peteano (perchè Vincenzo Vinciguerra è reo confesso spontaneamente costituitosi) e per Bologna (dove risultano condannati i soli Fioravanti e Mambro ma fra molti dubbi ). Per il resto è notte fonda: piazza Fontana, Gioia Tauro, Brescia, Italicus, Savona restano senza colpevoli.

Il sospetto più immediato è quello di un pregiudizio favorevole agli imputati dettato da simpatie politiche. Oppure si pensa ad interventi del potere politico a loro favore o, infine, alla conseguenza dei depistaggi da parte di polizia e carabinieri. Ma si tratta spiegazioni valide per il passato, non certo oggi, con una magistratura che non sembra esprimere simpatie per la destra. Quanto alle ingerenze del potere politico, ricordiamo che alcune delle sentenze più disinvolte sono venute fuori durante i governi di centro sinistra. E neppure la spiegazione dei depistaggi oggi regge: sono stato consulente sia di Salvini che della Procura bresciana e posso dire che gli ufficiali di polizia giudiziaria hanno operato al meglio e con assoluta lealtà (diventando, così, assai poco simpatici ai corpi di appartenenza). Dunque, le ragioni sono altre.

Ovviamente ha influito il tempo passato: in trenta o quaranta anni i testimoni muoiono o smemorano, le prove materiali deperiscono e tutto diventa più difficile. Eppure, le inchieste avevano comunque raggiunto risultati importanti che avrebbero potuto portare alla condanna almeno di alcuni degli imputati. Ma ciò non è accaduto per un insieme di ragioni.

In primo luogo la struttura del processo, così come prevista dal codice. Il processo penale ordinario è pensato per casi molto circoscritti, con pochi testi, due o tre perizie, pochi imputati. Ma, quando si deve ricostruire una vicenda terribilmente complicata ed articolata come le stragi, dove entrano in gioco gruppi eversivi ed apparati dello Stato, agenti stranieri e uomini politici d'alto livello, il processo esige centinaia di testimoni, valanghe di documenti, decine e decine di perizie, una pioggia di sequestri, intercettazioni ecc. Ed il fascicolo processuale si gonfia di centinaia di migliaia di pagine che conosce solo il Pm e che, in gran parte, non leggeranno neppure gli avvocati.

La cosa è poi ulteriormente complicata dalla mancanza di prove dirette: in processi di questo genere non c'è quasi mai un testimone che riconosca una persona vista nell'atto di deporre la bomba o una foto o una intercettazione inoppugnabili ed occorre lavorare sulla convergenza di cento elementi indiziari; quel che richiede studio ed applicazione di cui le corti, il più delle volte, non hanno alcuna voglia. Molto meglio affidarsi alle "impressioni" durante il dibattimento e ad una rapida sfogliata di carte. In questo modo il processo acquista una caratteristica eminentemente suggestiva, per cui l'abilità dell'abilità retorica dell'avvocato nel creare il "colpo di scena" vale più di dieci perizie e di venti intercettazioni che nessuno si va a leggere.
Ma, anche quando il testimone oculare esiste e, magari, è di forte memoria, il magistrato non gli crede perchè "il suo ricordo è troppo preciso a distanza di tanti anni per essere credibile" (accadde, durante il secondo processo per la strage di Brescia, ad un prete, Don Gasparotto, che aveva riconosciuto in Cesare Ferri la persona vista nella sua chiesa poco prima della strage). E qui entrano in gioco gli elementi specifici del come è fatta la magistratura del nostro paese.
Non si tratta di simpatia politica o di corruzione, la verità è ben più banale e perciò stesso più grave.

Il magistrato medio italiano è una persona mossa da una sola vera motivazione: la carriera. Spesso si tratta di persone non corrotte e sicuramente non simpatizzanti di eversori ed assassini, ma di persone mediocri, amanti del quieto vivere e poco inclini allo studio ed al rigore. In molti anni di pratica delle carte forensi, ho letto sentenze che gridano vendetta per la lingua in cui sono scritte e per la manifesta ignoranza giuridica.
Soprattutto la magistratura giudicante (che non ha l'incentivo dei riflettori dei mass media, concentrati sui colleghi inquirenti) tende ad uniformare il propri verdetti alla vulgata corrente: le sentenze coraggiose rischiano di essere riformate in Appello o in Cassazione e questo non facilita la carriera, anzi...

E l'andazzo di questi anni -complice una inadeguata pressione dell'opinione pubblica- è stato quello di assolvere sempre e comunque. E se in primo grado c'è stata una condanna, già il giudizio d'appello ha "riparato" il torto.
Non parliamo poi se fra gli imputati c'è un ufficiale dei carabinieri o un questore! Come si fa a condannare il membro di una corporazione con cui si deve collaborare quotidianamente? E poi, in casi di questo genere, che hanno avuto due o tre cicli processuali precedenti, occorre anche riconoscere -quantomeno implicitamente- che i giudici precedenti hanno lavorato da bestie e questo non sta bene. Che figura ci farebbe la corporazione giudiziaria?
Il modo migliore per evitare impicci e fastidi è quello di trovare nelle pieghe del processo la comoda scappatoia dell'"insufficienza di prove". La formula non esiste più nel nuovo codice, ma nelle motivazioni si trova modo di utilizzare il concetto con cento espressioni equivalenti. Insomma: "l'accusa ha fatto un buon lavoro, gli indizi ci sono e neppure pochi, però... manca quell'ultimo anello che ci avrebbe permesso di condannare per cui, con rammarico, siamo costretti ad assolvere. E se non siete d'accordo non siete garantisti".

Così l'accusa può consolarsi, gli imputati sono accontentati e sono serviti anche i garantisti.
Quanto al garantismo (quello vero, non quello "peloso"), chi ne abbia voglia si prenda la briga di confrontare le prove a carico di Adriano Sofri, testardamente riconosciuto colpevole in 9 giudizi su 10, con gli elementi a carico -ad esempio- di Cesare Ferri nel secondo processo per Brescia. Magari ci si farà l'idea che in qualche caso i giudici si fanno bastare le prove ed in altri non ci sono prove che bastino.
D'altra parte, la magistratura giudicante ha dimostrato di considerare questi processi con molto fastidio: processi lunghi, complessi, difficili, con centinaia di testimoni e per storie di trenta o quaranta anni fa di cui non interessa più a nessuno. Perchè mai occuparsene?

La verità è che processi del genere occorrerebbe avere grande scrupolo professionale, capacità di studio e di lavoro, coraggio morale e alta considerazione del proprio ruolo.
Ma ci si può attendere tutto questo da una corporazione selezionata più in base al grado di parentela che sulla conoscenza del codice? Da una corporazione che elegge i suoi controllori che mandano prosciolti il 97% dei giudici contro cui ricorre un cittadino?
Il bilancio dei processi sulle stragi, colpi di Stato, vicende che vedono accusati membri delle forze di polizia per la morte violenta di cittadini ecc. è questo. Esso esprime esattamente il valore morale della nostra magistratura.

Aldo Giannuli, 22 novembre '10