Ergastolo, ergastolo, ergastolo, ergastolo. Quattro richieste di ergastolo, e una assoluzione. E' la richiesta di condanna avanzata ieri dai pm Roberto Di Martino e Francesco Piantoni per i cinque imputati a processo per la strage di piazza della Loggia.
Quattro ergastoli e un'assoluzione per la morte di Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi Milani, Clementina Calzari Trebeschi e il marito Alberto, Luigi Pinto, Vittorio Zambarda, Euplo Natali e Bartolomeo Talenti, tutti straziati dall'ordigno esploso la mattina del 28 maggio 1974 nel cestino di piazza della Loggia.
I PM HANNO CHIESTO il carcere a vita per Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Francesco Delfino e Maurizio Tramonte. Per il quinto imputato, l'onorevole Pino Rauti, l'accusa ha chiesto l'assoluzione per non aver commesso il fatto, ma con richiamo all'articolo 530 comma bis, una richiesta di assoluzione con formula dubitativa.
Per Tramonte c'è anche un'ulteriore richiesta di condanna. Accusandolo di calunnia - per aver cercato di coinvolgere nella vicenda Lelio Di Stasio, funzionario della questura di Verona, indicandolo come «Alberto», il finto referente che ha millantato di avere avuto al ministero dell'Interno, al quale giurava di avere detto in anticipo della strage - i pm chiedono anche l'isolamento diurno per 18 mesi. La pubblica accusa ha chiesto la condanna per gli imputati considerati responsabili della strage che avrebbe avuto come cabina di regia il gruppo di Ordine Nuovo di Mestre e l'appoggio dei servizi segreti deviati.
MANCANO POCHI MINUTI alle 13 quando il pm Roberto Di Martino formula le richieste: pochi istanti per chiudere un lavoro processuale durato due anni e un'opera investigativa che ha assorbito 17 anni di vita professionale e personale.
Ergastolo. La parola eccheggia in aula, i giudici della corte d'assise pare trattengano il respiro. Maurizio Tramonte, l'unico imputato che ha partecipato a quasi tutto il processo, è seduto in prima fila, a fianco del suo legale. E' immobile, il mento appoggiato alla mano. La parola «ergastolo» risuona nell'aula, ma lui non batte ciglio: resta fermo, solo una leggera smorfia gli fa distorcere il labbro inferiore, ma il colore del viso di colpo va a confondersi con quello della camicia gialla. Non dice nulla, Tramonte: non si accascia, nè si lamenta, nè si rivolge al suo legale. È fermo. Aspetta che l'aula assorba il colpo, che il presidente della corte d'assise Enrico Fischetti aggiorni l'udienza al pomeriggio, poi tranquillamente si alza, infila il giubbotto di pelle, con un grosso scudetto tricolore sul braccio, e chiede agli agenti di polizia penitenziaria di riaccompagnarlo in cella, nel carcere di Canton Mombello, dove è stato trasferito dallo scorso maggio per consentirgli di essere presente alle udienze senza trasferte massacranti. Tramonte esce di scena, tiene la testa alta, gli occhi di tutti sono puntati su di lui: detenuto per altra causa, rischia di trascorrere in cella il resto della vita se la corte d'assise accoglierà la richiesta di condanna. È lui l'imputato che rischia di più: Zorzi è in Giappone, Maggi e Delfino sono vecchi e malati, soltanto Tramonte è giovane ed è detenuto.
ALLA RICHIESTA dell'accusa si adeguano anche gli avvocati di parte civile, che nel pomeriggio danno il via alla loro discussione. L'avvocato Renzo Nardin chiede ai giudici togati e popolari di giudicare responsabili della strage Zorzi, Maggi, Delfino e Tramonte, ma di assolvere Rauti.
«Oggi sappiamo che gli autori della strage sono quelli i cui nomi sono scolpiti nel capo di imputazione - conclude Nardin dopo aver tracciato un brillante, competente e articolato quadro storico-politico dei movimenti della destra eversiva bresciana legata sia a Milano sia al Veneto e con una escalation di violenza dall'attentato alla sede del Psi nel 1973 in poi - . Adesso basta con le certezze morali, abbiamo bisogno di un gesto giudiziario, abbiamo bisogno di un riconoscimento ufficiale delle vittime, perchè non restino soltanto dei nomi incisi su una lapide. Solo attraverso la verità giudiziaria si potrà costruire un diverso patto di civiltà tra i cittadini e le istituzioni».
«Siate servitori dello Stato - esorta la corte Nardin - scrupolosi e attenti, così come erano servitori dello Stato alcune delle persone che 36 anni fa hanno perso la vita in piazza della Loggia. I morti - concluso l'avvocato, prima di chiedere la condanna per quattro dei cinque imputati - non sono solo le vittime della strage, ma i morti sono quelli che li hanno privati della vita».
Alle richieste dell'accusa si adegua anche l'avvocato Piergiorgio Vittorini, difensore di parte civile della famiglia Bazoli e della Cisl.
«BRESCIA HA UN CREDITO di verità giudiziaria» esordisce l'avvocato Vittorini chiedendo alla corte una sentenza giusta, razionale, basata sulle prove, ma non una sentenza politica. «Non dovete condannare gli imputati perchè erano di destra - chiede l'avvocato - ma perchè vi sono state fornite le prove che sono responsabili della strage». E Vittorini vuole anche ricordare che le «vittime della strage non sono solo i morti e i feriti, ma anche le persone che sono state detenute ingiustamente perchè all'esito di depistaggi abnormi sono stati coinvolti in una vicenda che non li riguardava. E le operazioni di depistaggio - sottolinea - sono riconducibili a uno degli imputati».
Wilma Petenzi