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Stragi, nessuna pacificazione senza i responsabili
Federico Sinicato (Difensore di parte civile per la Camera del Lavoro di Brescia nel processo per la strage del 28 maggio 1974. Già difensore di parte civile per i familiari delle vittime delle stragi di piazza Fontana e alla questura di Milano)
Fonte: Liberazione, 28 maggio 2009
28 maggio 2009

In un vecchio film di Scorsese del 1990 un gruppo di ragazzi del bronx si produce in una escalation criminale che porterà i protagonisti alla dissoluzione anche attraverso lotte fraticide e accuse reciproche di inaffidabilità e tradimenti.
L'aula della Corte d'Assise di Brescia da qualche mese sta funzionando come lo schermo in bianco e nero di un vecchio televisore e trasmette le immagini di quei primi anni '70 quando l'Italia, perennemente democristiana, viveva sull'orlo di una crisi istituzionale sempre latente.
Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, Ordine Nero, M.A.R. e poi N.A.R. S.A.M. erano le sigle dietro le quali i soliti noti imbastivano le trame che dovevano portare ad un colpo di stato così "atlantico" da risultare indigesto perfino agli occhiuti osservatori yankee che indirizzavano la politica di intelligence dei nostri servizi.
Qualcuno potrebbe obiettare che, al di là del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale e dell'imprescindibilità del reato di strage, si stia celebrando un altro processo destinato ad una sentenza di "salomonica insufficienza di prove".
L'esperienza del processo milanese per la strage di Piazza Fontana e per quello della Questura di Milano, nate entrambe come per Piazza della Loggia dalle nuove indagini degli anni novanta sembra, effettivamente, indurre ad un prudente scetticismo sulle concrete possibilità di questo nuovo processo di raggiungere la prova della responsabilità degli attuali imputati per la strage.
Eppure lo sforzo di approfondimento che la Procura di Brescia sta facendo sull'immenso materiale processuale di quegli anni va accolto con estrema attenzione e sembra aprire qualche sostanziale spiraglio nel muro di gomma che menzogne, depistaggi ed errori di valutazione hanno eretto nel tempo davanti alla verità.
Per le stragi politiche di quegli anni si distinguono due filoni processuali: in qualche caso l'accusa segue un percorso ben delineato da elementi probatori forti che porta necessariamente ad una ricostruzione unitaria e logica dei fatti (era il caso del processo per la strage di Piazza Fontana): la non completa conferma di alcune di quelle testimonianze necessariamente produce l'indebolimento di quella univoca tesi accusatoria.
In altri casi al processo si chiede di approfondire linee d'indagine eterogenee che nascono dall'accumulo di materiale probatorio di provenienza diversa.
In questi casi (è l'esperienza vissuta anche nel processo per la strage della Questura di Milano del '73) lo sviluppo processuale può rafforzare una tesi accusatoria anche attraverso la mancata conferma di altre piste.
L'attuale processo di Brescia appare segnato nel bene e nel male da questa caratteristica che, da un lato, lo rende vulnerabile ma, allo stesso tempo, potrebbe produrre risultati clamorosi.
Se l'imputazione a carico di Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi segue il filone ormai consolidato dell'attività eversiva del gruppo ordinovista veneto (con il bombarolo veronese Marcello Soffiati, il ferrarese Melioli e il padovano del gruppo Freda Massimiliano Fachini, tutti prematuramente deceduti), l'accusa al generale dei Carabinieri Gerolamo Delfino si incentra principalmente sul suo duplice e sorprendente ruolo di principale investigatore nella prima indagine sulla strage (che portò ad un clamoroso binario morto attraverso la "forzata" confessione di Angelo Papa, giovane e impressionabile sodale di Ermanno Buzzi) e quello assai più inquietante di collaboratore con alcuni esponenti della destra eversiva e, forse, addirittura di istigazione e partecipazione all'attività di quei gruppi.
In questo contesto la presenza tra gli imputati di Maurizio Tramonte (all'epoca infiltrato dal S.I.D. in Ordine Nuovo) e Giovanni Maifredi (esponente bresciano dell'estrema destra) conferma la probabile sovrapposizione di diverse strategie eversive e la confluenza verso la scelta stragista di energie organizzate con origini diverse ma determinate a non farsi sfuggire l'opportunità di un intervento dirompente sul tessuto istituzionale e sociale di quel momento storico.
Da meno di un mese infatti era stato "tradito" il tentativo insurrezionale assai serio del M.A.R. di Fumagalli e l'ambiguo ruolo dei servizi segreti italiani spingeva i gruppi eversivi dell'estrema destra ad uscire da una situazione di "galleggiamento" frustrante e pericolosa (Ordine Nuovo era stato sciolto da Taviani e la pur tentennante posizione filoamericana della D.C. non poteva giustificare oltre il blando fiancheggiamento dei bombaroli ex fascisti e post nazisti).
Il processo, dunque, procede a strappi tra la ripetizione di testimonianze ormai conosciute, le litanie autoassolutorie già sentite dei protagonisti di allora, generiche accuse la cui fonte è sempre già morta o, al massimo, non del tutto individuabile perché "di ambiente carcerario" o frutto di pur rispettabili supposizioni e l'emergere di alcuni fatti nuovi che andranno attentamente indagati perchè potrebbero aprire squarci assai significativi sulla verità.
Alcune testimonianze, ad esempio, cominciano a delineare il ruolo di Delfino nel deragliamento del primo processo e le lunghe udienze dedicate ai fatti di Pian del Rascino (dove due giorni dopo la strage di Brescia viene ucciso dai Carabinieri il neofascista Giancarlo Esposti, particolarmente legato al M.A.R. di Fumagalli, con modalità che hanno sempre fatto sospettare che non si fosse trattato di un caso) hanno fatto emergere un interesse del S.I.D. per Esposti che potrebbe confermare il legame con Brescia.
Se è vero che gli operanti (guardie forestali e carabinieri) hanno confermato il rapporto ufficiale perché lo spiegamento di forze eccessivo per un paio di presunti cacciatori di frodo? Dov'è finita l'arma utilizzata per il colpo alla testa? e perchè i documenti del S.I.D. parlano di un sopralluogo effettuato la sera prima dell'operazione e, immediatamente, si è mobilitato il capo del centro S.I.D. di Verona?.
E come mai il capitano del S.I.D. D'Ovidio confidò ad un teste amico di Esposti che si era trattato di una trappola?
C'è ancora molto da scoprire sulle ragioni della morte di Esposti, sul suo ruolo nella organizzazione delle trame eversive di quei mesi nei rapporti tra i "milanesi" Ferri, Zani, De Amici e Di Giovanni e i "bresciani" e il ruolo di coordinamento e indirizzo che svolgevano gli "ideologici" di Ordine Nuovo.
Era un'epoca nella quale non era difficile procurarsi armi ed esplosivo e qualche teste ha confermato la collusione dei servizi nel consentirne l'approvvigionamento agli ordinovisti e il teste Falica, all'epoca coordinatore di O.N. per il Nord Est, racconta della offerta del capitano Labruna di mettere a disposizione i depositi segreti di armi nati nella logica di Gladio.
Non stride affatto in questo contesto, allora, la voce insistente nell'ambiente di destra circa il ruolo di garante che l'allora capitano Delfino svolgeva nel traffico di armi ed esplosivi.
Su questi temi, del resto, negli anni '80 nei "braccetti" carcerari ove erano rinchiusi gli estremisti di destra si articolò uno scontro acceso tra i "duri e puri" che aborrivano la contiguità con i servizi e coloro che venivano a torto o ragione identificati con questo ruolo subalterno, alcuni dei quali furono anche uccisi come Buzzi.
E' ormai certo, del resto, che poco tempo prima di quel fatidico 28 maggio gli ordinovisti definirono la precisa strategia di strutturare il movimento con una organizzazione politico-culturale di facciata ed una clandestina finalizzata appositamente all'attività eversiva e che i servizi italiani ne fossero certamente informati.
Solo oggi si tenta, infine, con una perizia collegiale di raggiungere qualche certezza scientifica almeno sugli esplosivi utilizzati, superando le superficialità, gli errori e la parzialità delle poche indagini tecniche disposte allora.
La speranza è che l'ampiezza del materiale utilizzabile (raccolto nelle molte vicende parallele che non furono mai confrontate tra loro) e le moderne metodologie consentano risultati utili ad una valutazione più razionale della effettiva costruzione dell'ordigno.
Non si deve dimenticare, infatti, che nel processo vi sono almeno due diverse descrizioni della bomba che porterebbero necessariamente a due diverse origini nella sua preparazione.
E proprio da qui il processo potrebbe trovare un suo primo punto fermo consentendo alle parti di concentrare gli sforzi di approfondimento solo nelle direzioni logicamente compatibili con quelle risultanze.
Qualche tassello, dunque, comincia ad andare al suo posto e solo il prosieguo del processo potrà dire se la verità su Piazza della Loggia potrà trovare la sua strada.
Il lavoro del giudice ha una forte componente logica e tecnica ma non può del tutto prescindere dall'intuizione e dal carattere di ciascuno e la presenza dei giudici popolari in Corte d'Assise produce necessariamente un aumento di questa componente: non si può dimenticare che sia a Catanzaro che a Milano quelle Corti d'Assise ebbero il coraggio di condannare all'ergastolo gli ordinovisti imputati senza trincerarsi dietro alle ipocrisie legali e ai sottili distinguo processuali.
Vi sono delitti la cui gravità un paese civile non può tralasciare di perseguire approntando nel suo ordinamento gli strumenti per farlo anche a molti anni di distanza (così per gli orrori nazisti in molte nazioni europee, per l'omicidio negli Stati Uniti, per le stragi bianche della dittatura argentina ecc....) e non è mai sprecato il tempo speso per la ricerca della verità.
Personalmente sono convinto che, in Italia, non sarà mai possibile una vera pacificazione finchè non verranno trovate le responsabilità per le stragi giacché intere generazioni hanno le proprie radici politiche in quegli anni e hanno costruito le proprie convinzioni e le proprie idee a partire dalla deflagrazione di Piazza Fontana e, nel bene e nel male, si confrontano da allora con la vergogna dei depistaggi di stato e l'ipocrisia degli opposti estremismi.
Mi auguro che i miei figli possano fare a meno.