Il primo dei tanti depistaggi sulla strage di piazza Loggia a Brescia lo fece Il Secolo d'Italia. Per il giornale dell'Msi il 28 maggio 1974 in piazza c'era Renato Curcio, fondatore delle Br. «Volevano intorpidire le acque», racconta Manlio Milani, presidente dell'associazione familiari delle vittime, che quella piovosa mattina perse la moglie Livia. «Sapevamo che quella era una strage fascista e decidemmo di fare qualcosa». La reazione della città, ancora affranta dal dolore per gli 8 morti e il centinaio di feriti, fu immediata. «Pensammo che la cosa migliore era fare un appello: portateci foto della strage, riconoscetevi in quegli scatti». E Brescia rispose «con un impegno senza eguali, un impegno che ci fece sentire in dovere di lottare contro i depistaggi e per la verità».
Il "depistaggio Curcio" fu poi subito smentito da Giancarlo Caselli: «Arrivarono sul mio tavolo delle foto che sembravano di Curcio e che, se la memoria non m'inganna, erano di una commemorazione della strage di Brescia. La somiglianza c'era, ma già il profilo la metteva in forse. Riuscimmo poi ad individuare l'uomo e a smentire definitivamente quella versione».
Più di vent'anni dopo, in una delle migliaia di foto raccolte, un volto sullo sfondo colpì i magistrati Di Martino e Piantoni, che aprirono l'ultima inchiesta nel 1993. Lo scatto immortala lo strazio di Arnaldo Trebeschi. Piange il fratello Alberto, militante del Pci, il cui corpo è coperto alla buona da una bandiera. Dietro di lui, da un improvvisato cordone di sicurezza, spunta il caschetto di uomo. I magistrati ci vedono subito Maurizio Tramonte, la "fonte Tritone" dei servizi segreti, uomo che ha scritto e riscritto il corso delle indagini. Nel 2001 affidano la perizia per il riconoscimento al professor Luigi Capasso, ordinario di Antropologia a Chieti. Attraverso accurati confronti antropometrici, Capasso giunge ad un «un positivo giudizio d'identità».
La perizia fa parte degli atti dell'istruttoria che ha portato al rinvio a giudizio lo scorso maggio dello stesso Tramonte, Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Francesco Delfino, Giovanni Maifredi e Pino Rauti con il via al processo previsto per il prossimo 25 novembre. Un impressionante mare di documenti in cui la verità potrebbe essere stata annegata dai tanti depistaggi. Un mare che la Casa della memoria di Brescia ha ora raccolto. «È stato un lavoro durissimo che ci è costato 45 mila euro. Ora è tutto digitalizzato e consultabile, grazie ai finanziamenti del Comune e della Provincia, co-fondatori con la nostra associazione della Casa della memoria».
Una Casa piena di foto. «I primi furono i fotografi: lo studio Cinelli e lo studio Eden, da cui è tratta la foto di Tramonte. Entrambi i titolari sono morti. La figlia di Cinelli ci ha donato l'intero documentario. Poi molti cittadini portarono le foto a noi perché della Questura non si fidavano». E facevano bene. A guidare la prima inchiesta fu proprio il generale Francesco Delfino, ora rinviato a giudizio. Fu lui ad accreditare subito la falsa pista del trafficante Buzzi.
«Io vivo a Roma», spiega Lorenzo Pinto, che di Milani nell'associazione delle vittime è il vice e che a Brescia perse il fratello Luigi, «eppure sono sempre colpito dall'impegno della città: qualche anno fa il famoso Ken Damy decise di fotografare tutti coloro che erano in piazza quel giorno e poi ne fece una bellissima mostra».
La perizia sulla foto rafforza le possibilità di arrivare finalmente ad uno straccio di giustizia. «Preferiamo lasciar parlare i fatti e non commentare - conclude Manlio Milani -. In questi 34 anni di delusioni ne abbiamo avute troppe, basta pensare a tutti gli indagati morti o uccisi (Buzzi fu il primo) a pochi giorni dalle deposizioni. La cautela ci deriva dalla storia, ma siamo almeno contenti di aver portato per la prima volta a giudizio ben due uomini dei servizi segreti: Tramonte e Delfino. A testimonianza del fatto che i depistaggi nella storia dello stragismo nero ci sono eccome e sono compravati anche grazie all'impegno civico del popolo della nostra città».