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testo letto il giorno della "Memoria delle vittime del terrorismo", 9 Maggio 2008, al palazzo del Quirinale da Anna Ceraso, Liceo classico "Arnaldo" di Brescia
Anna Ceraso
9 maggio 2008

"Il passato reca seco un indice temporale che lo rimanda alla redenzione. C'è un'intesa segreta tra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla terra. A noi, come ad ogni generazione che ci ha preceduto, è stata data in dote una debole forza messianica, su cui il passato ha un diritto." Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia (1940)
È in nome di questa "intesa segreta", di cui parla W. Benjamin, che sono venuta qui, oggi. Noi tutti siamo qui perchè in qualche modo, istintivamente avvertiamo questa intesa, e sentiamo il bisogno e l'esigenza di ridare voce e vita, attraverso il ricordo, a uomini e donne che sono morti senza un perchè e tuttavia non a caso nè invano, e "ci attendono sulla terra" per essere ascoltati, per ottenere giustizia. Il passato in cui hanno vissuto, e a cui siamo legati indissolubilmente, non si è spento insieme con la loro vita, non è concluso nè circoscritto, ma è compresente nella realtà, "essente stato". Esso ancora grida una domanda, forte, di "redenzione", ma allo stesso tempo custodisce la risposta a molti interrogativi del presente, e per questo partecipare in modo consapevole al rito civile della commemorazione è un modo, soprattutto per giovani come me, per imparare ad orientarsi, nel sentire, nel pensare e nell'agire. Lo stesso Walter Benjamin, nella descrizione del quadro "Angelus Novus" di Paul Klee, sostiene che la visione di un passato fatto di "rovine su rovine" esercita in chi sa voltarsi a guardarlo una irresistibile tensione verso un futuro diverso, un bisogno di quella che l'autore chiama appunto "redenzione". Non implica oblio, anzi si fonda sulla ricerca di rapporti con ciò che è stato: non ci si può sottrarre alla decifrazione del passato, perchè le domande che ad esso rivolgiamo rivelano noi stessi. Solo liberando le potenzialità positive e negative del passato, possiamo liberarci. Interessante quindi questa continua reciprocità tra noi e il passato, generatrice e rigeneratrice, espressa in quella segreta "intesa": da un lato il passato "ci attende" sulla terra, ci pone domande, dall'altro noi ci volgiamo ad esso, con lo sguardo e con la mente, cercandovi la risposta per il futuro; da un lato noi cerchiamo riscatto, "redenzione" non distruttiva dal passato, dall'altro le sue vittime chiedono al presente "redenzione", memoria, giustizia. Ecco perchè l'istituzione di giornate come quella di oggi, dedicata alla memoria di vittime di stragi ancora troppo spesso impunite: finalmente il presente vuole e sa interrogare il tempo che è stato. Aldo Moro aveva detto nel 1963 "Noi non vogliamo essere gli uomini del passato, ma quelli dell'avvenire". Per me è un vero onore trovarmi qui, come ragazza, come studentessa, come cittadina. Ho la consapevolezza di essere chiamata a rappresentare una molteplicità di idee e di immagini, perchè sono parte di una città simbolo, di una comunità, di una scuola. Di una famiglia, anche. Commemorare la strage di Piazza della Loggia ha sempre avuto per me un significato particolare, che mio padre, scampato alla morte quel 28 maggio 1974 per pochi brevi minuti, mi ha insegnato, con passione e sollecitudine, ad elaborare e a costruire come parte di me. La sua testimonianza e il suo vissuto, radicati in me, mi permettono di poter osservare qualcosa che non ho vissuto in prima persona, ma su cui in qualche modo si costruisce la mia identità. L'esperienza di quel giorno si trasmette da una generazione all'altra, attraverso quella profonda e misteriosa "intesa"; elaborandone la memoria, per capire noi stessi, dobbiamo riappropriarcene, farla davvero nostra, e non percepirla come estranea a noi. Non di rado mi capita, mentre cammino per il cortile della scuola come ogni mattina, di fermarmi davanti alla lapide di Giulietta Banzi Bazoli, insegnante presso il mio liceo, morta proprio quel 28 maggio, in una piazza dove respirava e difendeva la vitalità di una democrazia la cui essenza stessa è stata colpita da quella bomba, insieme con lei. Mi fermo davanti alla lapide, leggo che Giulietta "operò nella scuola e nella società in difesa degli oppressi, con ferma e generosa volontà di riscatto", e penso all'urgenza di quel riscatto, al bisogno di giustizia che ancora oggi sente la mia città. Avrei voluto poterla conoscere. La sua lapide guarda noi studenti, tutti i giorni, sembra ammonirci quasi con un po' di severità, ma allo stesso tempo, sobria, umile, ci ricorda quotidianamente ciò che è stato. Continua a volerci insegnare un messaggio. Davanti a quella lapide, ogni anno il 28 maggio succede qualcosa di meraviglioso. Tutta la scuola, rispondendo al suo richiamo, si raduna e rievoca il suo nome in un momento di condivisione. È il gruppo di lavoro "I giovani e la memoria" a rendere possibile questo, a farsi interprete e regista della rammemorazione di un passato ancora vivo. Lavorare con questo gruppo è un'esperienza entusiasmante, intensa; da diversi anni ormai abbiamo condiviso e progettato dentro un percorso complesso, il progetto "Memoria" ideato ed organizzato dall'Archivio storico "Bigio Savoldi e Livia Bottardi Milani" in collaborazione con sempre più numerose istituzioni civili e culturali, che ha ottenuto ogni anno l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Il progetto "Memoria" è dedicato alla nostra città, ma è sempre proiettato verso la costruzione di una rete nazionale ed internazionale e propone un collegamento, un "filo rosso" fatto di impegno, studio, umiltà e confronto, che unisce idealmente le tappe del calendario civile della memoria. Attraversa le date del 27 Gennaio, del 10 Febbraio, del 25 Aprile, di oggi, e si conclude il 28 maggio, proprio con il raduno in piazza della Loggia; tuttavia non si esaurisce nè si inaridisce in un puro rispetto di queste date, o in una vuota procedura, ma è un continuum, che prevede rivisitazione costante. Certo, il rischio di sterilizzazione delle emozioni è oggi forte, a causa della prescrizione normativa della memoria e del suo statuto mediatico; c'è il pericolo che si crei un' "ossessione" commemorativa che paradossalmente si concretizzi in un puro adempimento ad un dovere. La volontà del gruppo "I giovani e la memoria" è però proprio quella di riscoprire e di rivitalizzare i valori che la memoria ci trasmette, per mantenere vivo il rapporto che ogni individuo ha con quel passato comune, insito nella sua stessa identità. Per realizzare questo, il gruppo lavora per veicolare la memoria con dedizione e convinzione, attento alla documentazione storica ma soprattutto al confronto di ognuno dei componenti con la realtà e i materiali del passato, proprio per combattere quel rischio di sterilizzazione. Il momento forse più coinvolgente è quello dei "viaggi" della memoria: l'iniziativa "Un treno per Auschwitz", giunta alla sua quarta edizione, a cui ho partecipato io stessa lo scorso anno, i viaggi a Dachau, a Mauthausen, a Buchenwald, alla foiba di Basovizza, si ripetono ogni anno riunendo docenti, studenti, cittadini sempre nuovi, con consapevolezza etica che non viene mai meno, si rinnova, cresce nella condivisione. Appassionate testimoni di questo processo di crescita e di formazione di una coscienza civile sono le parole del professor Matteo Guerini, docente della mia scuola, infaticabile guida spirituale che continua ancora oggi, a due anni dalla sua morte, a operare nei nostri cuori. Le riporto qui con emozione perchè sia anch'egli presente. "La stazione di partenza - ideale, reale, didattica - è stata quella della nostra città: da lì è partito il lunghissimo treno per Auschwitz, che ci ha tutti segnati e tutti azzerati nell'umile esercizio della memoria del secolo appena concluso. Ma il viaggio è proseguito, e con viaggiatori-attori sempre nuovi e sempre più consapevoli siamo passati per le stazioni dolorose-tristi del passato, radici del presente dell'Europa e del nostro Paese. [...] Ed ora il viaggio si conclude qui, ai piedi della lapide della prof.ssa Giulietta Banzi Bazoli. Questa stazione - temporanea - di arrivo ancora sanguina. [...] Ma questo sangue caldo trova ancora una sua strada e una sua ragione, se incontra il calore di mille intelligenze, di mille cuori, soprattutto giovani menti e giovani vite non indifferenti e desiderose di sapere". Queste parole rivelano limpidamente come grazie all'emozione dei "viaggi della memoria" nasca, in ognuno dei partecipanti, un' irrefrenabile volontà di reazione e di riscatto. Il professor Guerini le ha pronunciate nel 2005, proprio davanti alla lapide di Giulietta. Ogni 28 maggio, dopo la commemorazione a scuola, molti studenti "sfilano" in Piazza della Loggia. È un modo simbolico per ricordare e riprodurre lo "sfilare" di quella manifestazione del 1974, interrotta dallo scoppio della bomba. Ma, soprattutto è un modo per ricordare un altro "sfilare": quello della straordinaria mobilitazione popolare, che già poche ore dopo lo scoppio della bomba è riuscita a riaggregare ciò che la strage voleva disperdere, la democrazia. L'intera città, studenti, operai, insegnanti, cittadini comuni hanno raccolto in quei giorni il guanto di sfida e hanno deciso di non restare muti e passivi di fronte alla violenza di una strage insensata, brutale, inaspettata. Di fronte ad un atto politico così rozzamente efficace e simbolicamente identificabile, la risposta è stata altrettanto politica ma al contrario non organizzata, spontanea. Il termine "sfilare" indica le modalità di questa risposta. Ogni giorno studenti, lavoratori, cittadini, camminavano verso la piazza: Ci andavano insieme, si univano, decidevano di percorrere lo stesso tratto di strada mano nella mano e così dire "no". Era palpabile, innata, forte, percepibile la presenza, l'esigenza di solidarietà. Tutte queste persone sfilavano in silenzio, come mi racconta mio padre, allora studente come me: non c'era bisogno di slogan, di urla, di recriminazioni, di divisioni. Era un silenzio che denotava amore e non odio, voglia di giustizia, non di vendetta. Lo sfilare, anche oggi non è un semplice recarsi ma è un andare in una sorta di rito comune. Ci si guarda, ci si riconosce, ci si percepisce uniti e con qualcosa di doloroso nel cuore, accompagnato a un qualcosa di forte nelle mani, nelle braccia, nella mente. Proprio questo si può leggere negli occhi di chi si trova in Piazza della Loggia il 28 maggio. E proprio l'immagine di questo bagliore che si può cogliere nell'attimo di uno sguardo, vorrei trasmettere qui come "testimone" da raccogliere. E' l'immagine più vivida della volontà di una città come Brescia che chiede giustizia e verità per le proprie vittime, è vicina alle vittime del terrorismo, a Bologna, a Milano, ai parenti di tutte le vittime delle brigate rosse e di tutte le stragi fasciste, alle vittime delle mafie, a chi ha subito e subisce la guerra, alle vittime dei kamikaze, delle rappresaglie, dei genocidi, anche e soprattutto di quelli dimenticati. Perchè, se conformismo ed inerzia possono impedire la possibilità di riscatto, come afferma W. Benjamin, "anche i morti non saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di vincere."