Il prossimo 25 novembre Pino Rauti sarà giudicato dalla Corte d'assise di Brescia per "concorso nella strage di piazza della Loggia" (28 maggio 1974, otto persone uccise e più di cento ferite dallo scoppio di una bomba). Con il fondatore di Ordine Nuovo, a processo altri sei imputati (tra gli altri Delfino, Maggi, Zorzi, Tramonte e Mainardi). Secondo i magistrati nella strage sarebbero stati utilizzati gli stessi timer della partita acquistata per piazza Fontana.
Il giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Brescia, Lorenzo Benini, ha accolto ieri mattina le richieste avanzate dai pm Roberto Di Martino e Francesco Piantoni, e disposto il rinvio a giudizio per concorso nella strage di piazza della Loggia di tutti e sei gli imputati individuati nelle ultime indagini. La strage avvenne il 28 maggio 1974 nel corso di uno sciopero generale promosso dalle confederazioni sindacali e dal Comitato antifascista: 8 i morti e più di cento i feriti.
Il processo inizierà il 25 novembre davanti alla Corte d'assise e con questa gravissima accusa comparirà anche Pino Rauti, il fondatore di Ordine nuovo, già indagato e poi prosciolto per le bombe di piazza Fontana. Il "grande vecchio" del neofascismo italiano, seguace delle teorie razziste di Julius Evola, è stato segretario nazionale dell'Msi nel 1990. Alla sbarra, insieme a lui, l'ex generale dei carabinieri Francesco Delfino, il "reggente" di On nel Triveneto Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, il capo della cellula di Mestre, Maurizio Tramonte, membro del gruppo, ma soprattutto collaboratore dal 1972 al 1975 come "fonte Tritone" del Sid (il Servizio informazioni), e Giovanni Maifredi, infiltrato secondo gli inquirenti dallo stesso Delfino negli ambienti della destra eversiva. La nuova inchiesta si era sviluppata a seguito delle dichiarazioni sia di Carlo Digilio, l'esperto in armi ed esplosivi di Ordine nuovo, sia dello stesso Maurizio Tramonte. Il primo ha raccontato come Marcello Soffiati, il capo cellula di Verona, su ordine di Carlo Maria Maggi avesse ritirato a Mestre da Delfo Zorzi una valigetta con una bomba già approntata per lo scoppio e che lui stesso intervenne per "metterla in sicurezza" affinché non esplodesse nel corso del tragitto verso Milano, prima della sua consegna alle Sam, le "Squadre d'azione Mussolini", sigla dietro la quale operavano in Lombardia e nel Veneto gli uomini di Ordine nuovo e Avanguardia nazionale.
Il secondo, dopo aver delineato il ruolo di supporto da parte di un esponente dell'Aginter press di Guerin Serac (la finta agenzia di stampa con sede a Lisbona, in realtà uno degli snodi del terrorismo neofascista internazionale), ha invece riferito come fossero stati approntati due ordigni, utilizzando gli stessi timer residui della partita acquistata per la strage di piazza Fontana. Le bombe furono poi consegnate a Ermanno Buzzi e da questi a Giovanni Melioli, della cellula di On di Rovigo, che si offrì volontario per collocare una di queste nel cestino portarifiuti di piazza della Loggia a Brescia.
Due ricostruzioni diverse ma assolutamente convergenti nel coinvolgere Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Marcello Soffiati nell'organizzazione della strage, con la movimentazione da parte degli stessi, nei giorni immediatamente precedenti, di ordigni preparati a questo scopo.
In queste deposizioni è nuovamente riaffiorata la figura di Ermanno Buzzi, condannato all'ergastolo nel primo processo, poi assassinato nell'aprile del 1981 dai terroristi neri Pier Luigi Concutelli e Mario Tuti alla vigilia dell'appello, nel carcere di Novara, per il timore che parlasse. Un personaggio a torto indicato per anni come un semplice delinquente comune, mitomane e pedofilo, in realtà ben inserito negli ambienti del neofascismo, con contatti nell'esercito e negli apparati di sicurezza. Si veda la sua agenda con i nomi dei principali dirigenti della destra eversiva, del generale Vito Miceli e di Costas Plevris, l'uomo di collegamento in Italia tra i gruppi neofascisti e i colonnelli che in Grecia avevano preso il potere con un colpo di Stato.
Di particolare interesse anche la ricostruzione della genesi della strage, pianificata, come hanno sostenuto sia Digilio che Tramonte, in più riunioni. Fu scelta Brescia solo pochissimi giorni prima, forse il 23 maggio, quando i giornali dettero la notizia della proclamazione dello sciopero generale a seguito dei numerosi attentati che avevano flagellato la città e soprattutto della morte, il 19 maggio, di Silvio Ferrari, un neofascista saltato per aria con la sua motoretta mentre trasportava una bomba. L'obiettivo degli stragisti era quello di innescare una grossa provocazione, colpendo ancor prima dei manifestanti i carabinieri in servizio d'ordine presenti nella piazza, facendo ricadere la responsabilità sulle sinistre. I timer impiegati, provenienti dalla stessa partita di quelli utilizzati in piazza Fontana, una volta ritrovati sarebbero serviti a scagionare Freda e Ventura, imputati per la strage del 12 dicembre 1969. Ma le cose andarono diversamente: iniziò a piovere e il plotone dei carabinieri in servizio di ordine pubblico, pochi minuti prima dello scoppio, decise di spostarsi da sotto i portici dove era solito disporsi per consentire alla folla di ripararsi, e la piazza dopo la strage fu subito lavata. Si disse allora: per cancellare le tracce dell'orrore, disperdendo però in questo modo anche i reperti che potevano far subito risalire agli autori dell'attentato. Pino Rauti, secondo l'accusa, era a conoscenza di quanto si stesse preparando, e l'ex generale dei carabinieri Francesco Delfino, all'epoca comandante del nucleo investigativo di Brescia (già identificato dal Tribunale di Roma come partecipe con lo pseudonimo di "Palinuro" a riunioni con finalità eversive nell'ambito del cosiddetto golpe Borghese), aveva sia collaborato alla preparazione della strage, sia al depistaggio delle indagini. Giovanni Maifredi aveva infine custodito per qualche giorno l'ordigno presso la sua abitazione, come testimoniato dalla stessa sua convivente. Una storia di terroristi fascisti e di servizi segreti, come in tutte le altre stragi degli anni Settanta. Anche in questo caso molto tempo è ormai trascorso dai fatti. Alcuni dei personaggi sono nel frattempo deceduti e non potranno più nè essere accusati nè comparire: da Giovanni Melioli, trovato morto nel gennaio del 1991 nella sua abitazione a Rovigo con mezzo chilo di cocaina sul comodino, a Marcello Soffiati a Carlo Digilio. Tra pochi giorni ricorrerà il trentaquattresimo anniversario della strage di piazza della Loggia. Dopo ben quattro istruttorie e otto processi, sarà questa l'ultima possibilità per giungere a una verità giudiziaria.