Celebrato e dimenticato. Nel trentennale della barbara uccisione, molto si è scritto, detto, pontificato su Pier Paolo Pasolini. In pochi hanno però alzato la voce per chiedere che, una volta per tutte, si faccia luce sulla verità. Che cosa è realmente accaduto tra l'1 e il 2 novembre del 1975 all'Idroscalo di Ostia?
Le versioni sono molte, a volte anche discordanti. Le accomuna un punto, fondamentale: la convinzione che la sentenza pronunciata contro Pino Pelosi non esaurisca la questione. Non la pensa così la Procura di Roma che, qualche mese fa, ha chiuso il fascicolo sul delitto Pasolini appena riaperto: mancanza di nuovi indizi, è stata la motivazione. Nessuna nuova inchiesta. Ancora una volta buio sulla verità. Qualsiasi sia la verità. Ma c'è chi non si arrende. Un gruppo di intellettuali guidati da Carla Benedetti e Gianni D'Elia hanno scritto e firmato un appello in cui chiedono di riaprire il processo. «Anche noi - spiegano - siamo parte offesa». «A trent'anni dalla morte, non sappiamo ancora da chi è stato ucciso e perché. Il suo assassinio va ad allungare la lista impressionante di omicidi, attentati, sparizioni, finti suicidi e finti incidenti di cui è costellata la storia d'Italia dal dopoguerra a oggi e che, a decenni di distanza, non sono ancora stati chiariti. Responsabili e mandanti impuniti, verità sottratte per decenni non solo ai tribunali, ma anche al discorso pubblico».
Il testo è accompagnato da una lunga lista di nomi. Da Giuseppe Bertolucci a Andrea Camilleri, da Marco Tullio Giordana a Bernard Henri-Lévy, da Carlo Lucarelli a Dacia Marini, da Mario Martone a Lea Melandri, da Aldo Nove a Michele Placido, Luca Ronconi, Gabriele Salvatores, Tiziano Scarpa, Simona Vinci. I protagonisti della cultura italiana non ci stanno. Vogliono sapere. Denunciano il silenzio con cui è stata accolta la notizia della chiusura del fascicolo e si mettono in gioco in prima persona: «Dopo quanto è successo, non possiamo più accontentarci della versione ufficiale, perché significherebbe diventare complici degli assassini di Pasolini».
«Se questa vicenda venisse raccontata in una tragedia di Shakespeare - commenta la critica letteraria dell'Espresso, Carla Benedetti - ci sarebbe uno spirito che si aggira per chiedere vendetta. L'omicidio di Pasolini è stato estetizzato. Si è arrivati a sostenere che è morto così come lui stesso aveva anticipato nei suoi testi. Come se la sua uccisione fosse stata la realizzazione di un teorema. Così non è stato. Si deve mettere fine alla discrepanza tra le celebrazioni e un'assurda, tragica, rimozione».
I firmatari dell'appello vogliono la verità sul poeta delle Ceneri di Gramsci anche per sollevare il velo di menzogne che copre i tanti misteri italiani. Lo sostiene il poeta Gianni D'Elia che sta per pubblicare un nuovo saggio su Pasolini, Il petrolio delle stragi (Effigie edizioni) in cui mette in relazione i fatti dell'Idroscalo con altri episodi bui della storia italiana, come la strage alla stazione di Bologna. «Lo studio - spiega - va di pari passo con la fredda indignazione. Esistono molti indizi che la notte tra l'1 e il 2 novembre Pelosi non fosse solo. Pasolini rappresenta una sineddoche, cioè la parte per il tutto: un tutto che sono le tante stragi italiane rimaste impunite. Per questo non si vuole scoprire la verità. Ma non possiamo essere noi a indagare. Deve essere la magistratura».
L'appello verrà accolto? Si vedrà. Intanto resta l'impegno. La presa di parola del mondo intellettuale. Di per sé un valore. «In una situazione simile - è la chiusura del testo - spetta in prima persona agli scrittori, ai poeti, agli artisti, agli intellettuali, ai giornalisti e a tutte le persone libere che hanno a cuore la verità chiedere (come ha già fatto il comune di Roma che si è costituita parte offesa) la riapertura del processo e l'accertamento della verità».