Cari lettori, la terza inchiesta sul delitto Pasolini è stata archiviata prima di iniziare: il Gip ha accolto la richiesta del Pm, ma la Procura di Roma già agli inizi di settembre aveva deciso di chiudere il fascicolo sul delitto Pasolini, che aveva riaperto dopo le dichiarazioni in tivù di Pelosi (Raitre, 7 maggio 2005).
Per mancanza di indizi, ancora una volta. E il fascicolo aperto (per dovere) è diventato fascicolo chiuso (per volere) invece di diventare inchiesta riaperta, nel silenzio generale.
Anche oggi non ci sono state proteste né commenti indignati?
Il più atroce assassinio di un poeta dell'età contemporanea, più turpe dell'assassionio di Garcia Lorca, un vero massacro di gruppo (come ora ammette nella ritrattazione il suo assassino reo confesso, Pino Pelosi, appunto), delitto avvenuto a Roma, in Italia, per mano di italiani, di siciliani - e fascisti - che gridavano «fetuso, arruso, sporco comunista» (sempre Pelosi), dovrà restare impunito? Non è bastata la credibile ritrattazione del ragazzo-schermo, che era stato messo lì per coprire il delitto politico con la doppia trovata dell'omicidio omofobico ("arruso" è offesa che significa "frocio", in palermitano). Non sono bastate le dichiarazioni successive di Sergio Citti ai giornali, sul nome di uno dei probabili assassini («un Sergio di Catania»). Non è bastata la pagina del "Corriere della Sera", che partendo dalle parole riferite nel mio libro (L'eresia di Pasolini, Effigie) sviluppava un'inchiesta sulle indagini del magistrato Vincenzo Calia intorno all'uccisione di Enrico Mattei collegato al dossier di Petrolio, il "romanzo delle stragi" che Pasolini scriveva nel 1975 quando fu eliminato (Paolo Di Stefano, 7 agosto 2005).
Cara sinistra, se non toglierai il segreto di Stato, non potremo mai sapere niente di questo lungo romanzo, per alcuni magistrati e giornalisti coraggiosi così intrecciato, che allinea le menzogne su Mattei, De Mauro, Pasolini, Moro, Sofri (e cioè Calabresi e Piazza Fontana). Sofri non l'hanno ammazzato, serviva vivo. Allora, di fronte alla pervicacia giudiziaria e politica di voler restare nell'irrisolto, continuiamo pure a difendere l'autonomia della magistratura contro l'arroganza del potere politico assoluto che oggi domina in Italia attraverso l'oligarchia di Berlusconi. Però non dimentichiamo di gridare che, nonostante la menzogna giudiziaria sul delitto Pasolini, noi sappiamo la verità storica di questo delitto.
Noi sappiamo i nomi degli assassini e dei complici, storici. Alcuni sono ancora nel Palazzo, trascritti in Petrolio. E ci sono i testimoni non sentiti, come riferì Furio Colombo alla radio, ripreso nel film di Giordana (Pasolini: un delitto italiano, 1995): a Ostia, davanti alle baracche dell'Idroscalo, il 2 novembre 1975:
- Il mio cognome si scrive co' due t. Salvitti Ennio. E lei tanto pe' correttezza?
- Lavoro per "La Stampa", mi chiamo Furio Colombo.
- "La Stampa"... Agnelli.
- Sì, Agnelli.
- Lo scriva che è tutto 'no schifo, che erano in tanti, lo hanno massacrato quel poveraccio. Pe' mezz'ora ha gridato mamma, mamma, mamma. Erano quattro, cinque.
- Ma lei questo lo ha detto alla polizia?
- Ma che, so' scemo?
Salvitti Ennio è ancora vivo? Perché conferma la scena plurale del delitto, nella ritrattazione di Pelosi. E' un riscontro, come si dice in gergo giuridico. Anche questo era un indizio trascurabile?
Vergogna, Italia.
Si è fatto passare Pasolini per un violento, contro ogni evidenza, non facendo nessuna indagine, ignorando e cancellando prove e indizi, proteste e documentate contro-inchieste di giuristi e intellettuali italiani, come il volume voluto da Laura Betti e uscito da Garzanti nel 1977 (Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte). Di un compagno del vero.
Ma noi sappiamo, per sdegno corsaro.
Chiediamo forte la riapertura del processo.
Il Comune di Roma si è costituito come "parte offesa" insieme alla parte civile (l'avvocato Guido Calvi, per la famiglia Pasolini). Seguiamo l'esempio. Firmiamo in massa, come cittadini italiani, offesi anche noi dall'eliminazione del più grande e dolce intellettuale e poeta del secondo Novecento.
E chiediamo altrettanto forte che la sinistra, una volta tornata al governo, tolga il segreto di Stato per tutte le stragi terroristiche e i delitti politici, nei quali la morte di Pasolini rientra per definizione.
Una enorme raccolta di firme per la verità, per celebrare degnamente il trentennale di una morte che ci brucerà per sempre.
E ci brucia anche di più, oggi, dopo la morte di Citti, che coincide con l'archiviazione, anzi il sequestro della verità. Caro Sergio, come sarà la terra vista dalla luna? Salutaci Pier Paolo e Laurissima. Baci da tutti noi.