Alcune settimane fa Enrico Campofreda mi ha proposto alcuni articoli/commenti su Pasolini, parlandomi della sua voglia di far conoscere l'intellettuale/poeta alle nuove generazioni, e pure della speranza che altri si sentano stimolati a farci pervenire le loro opinioni: accolgo volentieri questo invito, sperando che altri ancora si uniscano a noi e che il dibattito vada ampliandosi.
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Nello scritto a "Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo" Pasolini poneva una questione che fu sottovalutata all'epoca: l'atteggiamento della sinistra verso i "nuovi" fascisti negli anni 50/60/70 fu adeguato? Oppure si fermò ad una mera condanna indignata che, seppur sostanziale e non formale, finì col diventare accettazione del "nuovo" fascismo, quasi si trattasse di una piega ineluttabile che doveva prendere il destino dell'Italia? Pasolini si domandò se non si poteva fare qualcosa; se non era possibile parlare con quei giovani che stavano per abbracciare quell'ideologia e le sue pratiche; se era possibile coniugare la resistenza attiva al nuovo squadrismo ad un'opera di prevenzione, fatta di dialogo e di paziente confronto.
Su questi aspetti Enrico esprime qualche dubbio: "Si poteva parlare con giovani fascisti trasformatisi in assassini? Teoricamente sì, ma in molti casi non c'era la possibilità perché il conflitto prendeva il sopravvento, in altri non c'era la volontà. Non si parlava con quei giovani perché riproponevano il lugubre scenario nostalgico che aveva provocato lutti a due generazioni. E i giovani antifascisti degli anni Cinquanta e Sessanta ... non offrivano alibi a chi risventolava i gagliardetti coi teschi e assassinava i lavoratori.". Nella sua analisi Campofreda va giustamente oltre: il problema non stava solo nel "come" e nel "se" instaurare un rapporto con quei giovani che sarebbero diventati Freda, Ventura o successivamente Mambro e Fioravanti, ma nel "come" e nel "se" instaurare un dialogo con i riferimenti politici di quei giovani: Almirante, Tremaglia, Rauti ecc.
Fermo restando che condivido TUTTI questi dubbi, penso che Pasolini abbia posto un problema che andava al di là della domanda "è possibile instaurare un dialogo?", quasi trascendendola. La voce di Pasolini è ANCHE autocritica: il poeta dice "ci siamo comportati coi fascisti ... razzisticamente: abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati razzisticamente a essere fascisti, e di fronte a questa decisione del loro destino non ci fosse niente da fare. ... nessuno di noi ha mai parlato con loro. Li abbiamo subito accettati come rappresentati inevitabili del Male. ... ".
Il punto non era se quel dialogo fosse o meno possibile: il punto era che NON SOLO non ci si provò, ma che all'interno della sinistra non si aprì mai neppure la discussione su tale possibilità, quasi che la sinistra volesse arroccarsi su posizioni esclusivamente difensive ed autoreferenziali.
Perché la possibilità di dialogo non fu mai presa seriamente in considerazione? Perché la voce di chi come Pasolini pose la questione restò marginale? Ripeto, sicuramente sono valide le considerazioni portate da Enrico Campofreda: come instaurare il dialogo quando lavoratori e studenti venivano massacrati da nuovi squadristi e da forze dell'ordine (e sul ruolo di queste ultime vedrò di tornare in un successivo intervento) con essi conniventi? Ciò nondimeno mi sembra ci sia materia su cui riflettere, specie se vogliamo attualizzare la faccenda domandandoci se OGGI l'opera di contrasto e prevenzione verso le nuove destre sia operata in modo efficace, o se invece non si stia ancora sottovalutando il pericolo, mescolando nuovi e vecchi errori.
Ci sono molti elementi che oggi riportano la preoccupazione per un ritorno di un "altro" "nuovo fascismo": azioni contro i centri sociali, politiche dell'attuale maggioranza in tema di ordine pubblico, immigrazione, repressione del dissenso eccetera... Sono talmente tanti questi elementi che ognuno meriterebbe di essere approfondito in un articolo a sé; ne ho solo elencati alcuni (sommariamente e con moltissime lacune) perché ora il nocciolo della questione sta in una nuova domanda: da dove nascono queste nuove destre?
Ebbene, nascono da un contesto (italiano, certo, ma pure europeo), in cui partiti di sinistra, sindacati, ma pure istituzioni democratiche non politicamente contrassegnate, sono entrati in crisi nella loro capacità di rapportarsi con un tessuto sociale in evoluzione. Vent'anni di politiche neoliberiste, di flessibilità e precarizzazione non sono passati senza lasciare un segno: hanno creato il terreno fertile per una destra populista e razzista che individua nella società multietnica NON SOLO una minaccia alle identità nazionali, ma PURE la causa di tutti i mali universali.
I simpatizzanti di queste forze politiche sono spesso di estrazione umile. E questo mostra che a sinistra c'è un deficit di comunicazione verso i tradizionali riferimenti sociali. Sono le periferie urbane a rappresentare il "target di arruolamento" di destre neofasciste e neonaziste; quartieri degradati, curve degli stadi... Se limitiamo l'analisi all'Italia, poi, c'è un'inquietante peculiarità: una maggioranza parlamentare che costituisce addirittura un laboratorio di sperimentazione delle "nuove destre": un laboratorio in cui conservatori e liberisti si mescolano a integralisti cattolici e ad aree neofasciste e xenofobe.
Quando scrissi l'articolo su Pasolini per Reti-Invisibili ed Ecomancina, anche a me piacque concludere con due citazioni, sottolineandone l'attualità. Le riporto anche in questa sede, perché mi sembrano nuovamente utili nell'economia di questa discussione.
Articolo del 9 dicembre 1973: "Non c'è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogan mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l'aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l'anima del popolo italiano; il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione) non solo l'ha scalfita, ma l'ha lacerata, violata, bruttata per sempre...".
Da Vie Nuove n. 36, 6 settembre 1962: "L'Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo.".
Parlando con un compagno una volta dissi che della rovina dell'Italia erano colpevoli in ugual misura Mike Bongiorno e Andreotti. Al di là della semplificazione e della battuta, più o meno riuscita, cercavo di esprimere un concetto che solo più tardi avrei scoperto avere già espresso Pasolini, con più efficacia ed eleganza ed in modo maggiormente articolato.
Lo dicevo nel mio vecchio articolo e qui lo ribadisco: la subdola opera di rimodellazione della società italiana e dell'italiano medio (denunciata negli anni 60/70 da Pasolini) è andata via via affinandosi e completandosi; la sinistra saprà trovare OGGI il modo di arginarla?
Mi rendo conto d'aver proposto in questo mio articolo più interrogativi che risposte, e di tutte le domande la più importante è l'ultima. Ma in fondo credo che sia essenziale, prima ancora che cercare risposte, ricordarsi la sensatezza di quelle domande: ANCHE per questo è indispensabile continuare a riflettere su uno dei nostri maggiori intellettuali.
Francesco "Baro" Barilli