ROMA - "Pino Pelosi ha detto tante bugie, bisogna riaprire l'inchiesta. Per fargli dire la verità, tutta fino in fondo, dovrebbe rispondere alle mie domande. Vorrei un confronto con lui. Io so, con esattezza, come sono andati i fatti". Sergio Citti, 72 anni, amico fraterno e stretto collaboratore di Pier Paolo Pasolini, è da anni molto malato. La sua mente però è lucida e al telefono si commuove più volte mentre racconta la sua versione dei fatti "quella che - dice - doveva venir fuori trent'anni fa".
Perché è così sicuro che Pelosi mente?
"Ho parlato con Pier Paolo l'ultima sera, prima che uscisse. Mi disse che andava alla stazione Termini perché aveva appuntamento con un gruppo di ragazzi, non con tre com'è stato detto, ma con cinque come ho appurato dopo. Non mi nominò mai Pelosi, non disse "vedo un amico" come sempre faceva. Non c'erano segreti tra noi. Queste cose avrei voluto dirle ai giudici ma non sono stato mai chiamato a testimoniare. A quel tempo la cosa che si temeva di più era fare chiarezza..."
La colpa secondo lei è di chi ha fatto le indagini?
"I giudici hanno fatto un processo disonesto. Nessuno ha voluto cercare la verità. Io ho filmato i posti dove dicono sia avvenuto il delitto, ho ricostruito minuto per minuto quello che è successo in quelle ore. Avevo una "gola profonda". Parlavo con una persona che mi ha raccontato di quella sera. Una testimonianza di prima mano, vera, attendibile. Lui ha visto. Io a Pelosi direi solo un nome, quello di questa persona, e lui sarebbe costretto a dire finalmente quel che sa".
Qual è la verità che secondo lei non è mai stata svelata?
"Pino Pelosi era solo un ragazzo. Ha fatto da esca a quei cinque. Non erano amici suoi, questo è da sottolineare. Lui non conosceva neppure i loro nomi. L'hanno solo usato, serviva qualcuno a cui accollare il delitto. Pelosi è dovuto stare al gioco di questa gente, gente "rispettabile" che aveva ordinato l'omicidio. Il ragazzo non aveva nessuna possibilità di ribellarsi, anche se avesse voluto. Pier Paolo è stato ammazzato sulla Tiburtina e poi è stato portato a Ostia dove lo ha trovato la polizia. Sono stati gli altri a metterlo in macchina e a trasportarlo fin lì".
E' la tesi del complotto che gli inquirenti hanno scartato.
"E hanno commesso un errore. La sua morte è convenuta a tante persone. A chi aveva paura della sua mente, del suo spirito e della sua capacità di essere libero. L'Italia deve molto a Pasolini. Eppure per lui la maggior parte della gente, ora come allora, non prova né odio né amore ma solo morbosità. Nessuno lo conosce davvero. All'estero sì, lo studiano, sanno chi è, ne ammirano la grandezza e ce lo invidiano. E io prima di morire vorrei che si facesse luce sulla sua assurda morte"