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Pasolini, la procura dice no alla riapertura dell'inchiesta
I giudici non credono alle rivelazioni di Pelosi
I legali della famiglia: obbligatorio intervenire
ELSA VINCI - da Repubblica
Fonte: Repubblica 8 maggio 2005
8 maggio 2005

ROMA - La procura non gli crede. "Nulla di concreto, non abbiamo tempo da perdere". L'intervista a Rai Tre di Pino Pelosi, condannato per l'omicidio di Pier Paolo Pasolini, non convince i magistrati romani che già nel 1995 riaprirono un fascicolo sulla morte del regista-scrittore, ucciso all'Idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975. E' scontro con gli avvocati che al processo rappresentarono le parti civili, la madre e la famiglia del poeta. Guido Calvi, adesso senatore ds, e Nino Marazzita sostengono che nell'ultima confessione di "Pino la rana" ci sia "l'elemento preciso della notizia criminis" per la riapertura delle indagini.

"Non fui io ad ucciderlo, erano in tre, io lo difesi". Trent'anni dopo Pelosi cambia versione. Accusa altri ma non fa nomi. "Parlavano con accento meridionale". Gridavano: "Sporco comunista", "fetuso", "pezzo di merda". Descrive un vero e proprio agguato. Il resto della storia coincide con quanto ricostruito dai giudici nei due processi di merito e nell'ultimo in Cassazione: l'incontro tra il ragazzo di vita e lo scrittore-regista vicino alla stazione Termini a Roma, la cena in pizzeria, il viaggio fino all'Idroscalo.

"Pelosi nella sua intervista alla Rai - spiegano in procura - si limita a dire di non essere l'autore del delitto e chiama in causa altre persone. Di queste però non rivela i nomi né fornisce elementi utili alla identificazione. A trent'anni dai fatti, l'unico condannato di questa vicenda decide di tornare allo scoperto aggiungendo che forse i veri responsabili sono morti. L'intervista, così com'è, non basta per riaprire l'inchiesta".

"Pino la rana" dice di avere parlato soltanto ora perché i suoi genitori ormai non ci sono più e non ha "più paura" di ritorsioni e vendette. "Ho vissuto per trent'anni nel terrore", afferma.

Gli avvocati Calvi e Marazzita parlano di "dovere morale" per la magistratura di accertare la verità. "C'è l'obbligo di riaprire il caso - insistono - Pelosi parla di un complotto contro Pasolini, le sue parole coincidono con la tesi da noi sostenuta al processo. Fu un esecuzione organizzata". Queste affermazioni provocano un po' di irritazione in procura, dove si ricorda che proprio su esposto di Marazzita nel 1995 furono riaperte le indagini. Il procuratore aggiunto Italo Ormanni si precipitò in ufficio rientrando dalle ferie. Non si arrivò a nulla.

C'è chi solleva analogie con il rogo di Primavalle. Dopo le nuove dichiarazioni di Achille Lollo la magistratura romana ha riavviato un'indagine. Ma Lollo, osservano in procura, ha fatto una chiamata di correità, ha chiamato in causa altri facendo dei nomi e accusando se stesso, ecco perché su Primavalle è stato aperto un nuovo fascicolo.

"Le dichiarazioni di Pelosi - dice il sindaco di Roma, Walter Veltroni - riaccendono interrogativi e dubbi che gli amici del poeta, molti intellettuali e una buona parte dell'opinione pubblica hanno sempre avuto su quel che accadde davvero quella notte".

I familiari di Pier Paolo Pasolini non si lasciano sedurre dalla nuova confessione. Nico Naldini, uno dei cugini dello scrittore, afferma: "Spero che la procura non perda tempo e non faccia perdere soldi al contribuente. La figura di Pelosi va commisurata come valore morale alla sua fedina penale".