I Ris hanno iniziato a comparare il dna estratto dai reperti con la loro banca dati. Cercano il terzo uomo apparso «chimicamente» sulla scena del delitto Pasolini. Non ha un volto e un nome e chissà se mai lo avrà. Ma ora c'è un filo a cui aggrapparsi: un codice genetico. Può svelare uno dei grandi misteri italiani del secolo scorso. Un profilo di dna che non appartiene allo scrittore e neanche a Pino Pelosi. La prova scientifica che quella notte tra l'1 e il 2 novembre di 36 anni fa all'Idroscalo di Ostia c'era almeno una terza persona.
E' una caccia all'uomo iniziata il giorno in cui il pm Francesco Minnisci ha ordinato il riesame dei reperti recuperati la notte del delitto - gli indumenti e le tavolette di legno usate forse dallo scrittore per difendersi - custoditi per anni nel Museo di Criminologia di Via Giulia, a Roma. Una ricerca condotta con sistemi molto sofisticati. Non è escluso che nei prossimi giorni il pm inizi a confrontare dati e testimonianze.
La verità ora non dipende più solo dalle parole di Pino Pelosi, l'uomo condannato a 9 anni e sei mesi per quell'omicidio. All'epoca aveva solo 17 anni, oggi ne ha 53 e continua a srotolare frammenti di memoria dimenticati per anni. Reo confesso per oltre 30 anni fino al giorno in cui ha iniziato a proclamarsi innocente. Per molto tempo si è scritto e ipotizzato che con lui e con i Borsellino quella notte ci fosse anche Giuseppe Mastini, detto Johnny lo zingaro. I due fratelli Borsellino lo rivelarono ad un carabiniere infiltrato, Renzo Sansone, ma le loro parole non furono prese sul serio e neanche quelle del carabiniere che oggi è in pensione. «Quella notte Johnny non c'era, ma se il magistrato vuole togliersi qualsiasi dubbio faccia pure il confronto e inviti Mastini a fare il test del dna» dice oggi Pelosi. «Johnny ha sempre ammesso i suoi delitti, lo avrebbe fatto pure per Pasolini».
Pino «la rana» di recente ha scritto un libro. È la verità? «Manca un 15% che non vi dico...» dice come se volesse creare suspense. La presenza del terzo uomo dà ragione a quanti hanno sempre contestato la verità processuale. «Gli amici più cari di Pasolini, tra cui Moravia, io e Bellezza e molti altri avevamo detto da subito che non era possibile che fosse stato ucciso solo da Pelosi», osserva, senza mostrarsi troppo stupita, la scrittrice Dacia Maraini. Sono passati 36 anni. Troppi forse. «Potevamo arrivarci prima, certo, ma meglio comunque tardi che mai».
Gianni Borgna invece ci ha sempre creduto. «È quello che noi abbiamo sempre raccontato - rivendica l'ex assessore alla Cultura capitolino - battendoci per una riapertura del caso contestando la versione poco verosimile raccontata dai media e dalle istituzioni. Ora finalmente un magistrato serio e scrupoloso sta svolgendo un'indagine sottotraccia che sta dando risultati molto importanti». E Stefano Maccioni, legale di Guido Mazzon, cugino di Pasolini, commenta: «Se confermata, la presenza di un terzo uomo rafforza le nostre tesi e la susseguente richiesta di riapertura delle indagini».
C.Mar.