Agli atti di una verità processuale (e non solo) ancora monca, non mancherebbe soltanto il capitolo di un libro (Petrolio). Mancano anche trenta minuti di pellicola a "futura memoria" che nell'autunno del 2005 vennero girati in una casa di Fiumicino, accanto al letto di morte in cui si stava lentamente spegnendo Sergio Citti, l'attore e il regista che con Pier Paolo Pasolini aveva condiviso una vita. Dietro la macchina da presa, il regista Mario Martone. A porre le domande, l'avvocato Guido Calvi, legale della famiglia Pasolini. Che oggi ricorda: "Avevo saputo che la prima settimana del novembre '75, pochi giorni dopo la morte di Pier Paolo, Citti con la sua cinepresa in superotto era andato all'Idroscalo di Ostia per fissare la scena del crimine. Era una pellicola muta e nondimeno un documento eccezionale". "Perché restava e resta - continua l'avvocato Calvi - la sola ricognizione visiva di un luogo cui, diciamo per imperizia, polizia e carabinieri, la mattina del 2 novembre '75, diedero libero accesso, lasciando che venissero cancellate tracce verosimilmente utili alle indagini. Ebbene, Citti era l'unica persona in grado di commentare quelle immagini mute. E così, decisi di fargliele spiegare di fronte a una telecamera. Ricordo che con Martone ci sistemammo nel salone della sua casa di Fiumicino. Avviammo la proiezione del superotto su un grande schermo e Citti cominciò il suo racconto".
A differenza delle pagine asseritamente scomparse di Petrolio, la testimonianza di Citti sarà presto consegnata da Calvi alla Procura di Roma che ha per la terza volta riaperto l'indagine sull'omicidio. Anche perché in quelle immagini si documenta come, per quanto compromessa, la scena del crimine fosse ancora in grado di "parlare". Di confermare quello che Pino Pelosi avrebbe ammesso solo con il tempo (nel 2005). Che ad uccidere Pasolini, la notte tra l'1 e il 2 novembre del '75, furono più uomini. Una verità, questa, per altro già testimoniata 35 anni fa dalle tracce biologiche presenti sulla macchina di Pasolini (una macchia di sangue sul lato del passeggero che non apparteneva né al regista né a Pelosi), da ciò che venne ritrovato al suo interno (un maglione e un plantare di scarpa, anche questi di ignoto proprietario), dall'assenza di qualsiasi traccia di colluttazione sul corpo e sugli abiti di Pelosi al momento del suo arresto, poco dopo l'omicidio. E tuttavia mai esplorata fino in fondo. Se non con due indagini riaperte e quindi archiviate in questi ultimi anni dalla Procura di Roma.
Ricorda ancora Calvi: "Citti era convinto, e la sua testimonianza video ne dà conto, che Pasolini venne attirato in una trappola. A suo dire, erano state rubate alcune pizze di Salò e Pelosi fu l'esca che lo convinse quella notte che era possibile recuperarle e che dunque lo spinse a raggiungere Ostia". Gli assassini forse lo seguirono. Forse lo aspettarono all'Idroscalo. È certo che il regista, prima di essere sopraffatto, lottò con i suoi assassini. Il suo sangue, le ciocche dei suoi capelli vennero repertate in un raggio di settanta metri. Una mattanza di cui Pelosi fu testimone, verosimilmente senza mai scendere dalla macchina.
Su un punto, del resto, Calvi è propenso a ritenere più che attendibile la ricostruzione di Citti. "Quell'ultima notte, Pasolini cenò due volte. E per due volte raggiunse la stazione Termini. Soprattutto, percorse 150 chilometri per raggiungere l'Idroscalo di Ostia dal quartiere di san Lorenzo, poco più di 30 chilometri in linea d'aria. Una distanza dunque incompatibile per chi cercava semplicemente un luogo in cui appartarsi per un rapporto sessuale".