Partiamo da un fatto di cronaca. Il 17 marzo del 2001, nel corso delle manifestazioni violente verificatesi in occasione del Global Forum di Napoli, all'interno della caserma Raniero Virgilio un'ottantina di persone - alcune prelevate dai pronto soccorso cittadini - vennero sottoposte per ore a ogni genere di sopruso e umiliazione. Secondo i giudici di primo grado, si trattò di "un vero e proprio rastrellamento" e numerosi fermati subirono trattamenti "inumani e degradanti" da parte di agenti e graduati di polizia. Una sentenza del 2010 ha condannato dieci poliziotti, alcuni dei quali per sequestro di persona. Quest'ultimo reato era uno dei pochi rimasti in piedi in quanto la violenza privata, le lesioni, l'abuso d'ufficio e il falso erano andati prescritti, e una fattispecie penale adeguata a quei "trattamenti inumani e degradanti" non è prevista dal nostro codice. Infine, il 9 gennaio del 2013 anche quelle condanne per sequestro di persona sono state prescritte: e quella vicenda di "violenza di stato" è stata come cancellata. E ora consideriamo i seguenti paesi europei: Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Islanda, Lettonia, Lussemburgo, Macedonia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Slovenia, Slovacchia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria. Negli ordinamenti di queste nazioni la tortura è un delitto specifico. In Italia no. Ma non siamo "la culla del diritto"? Il paese di Cesare Beccaria e di Pietro Verri? Quello dello stato di precarietà in cui versano, e da decenni, i principi del garantismo nel nostro paese, è tema che andrebbe approfondito. Qualcosa di profondo del carattere nazionale, e forse di oscuro, contribuisce a formare un senso comune sempre meno attento verso le questioni legate alla privazione della libertà e sempre meno sensibile verso il tema fondamentale della tutela dell'integrità della persona. È come se un'idea sostanzialista della giustizia e un'interpretazione tutta in chiave autoritaria della sicurezza prevalessero su qualunque preoccupazione di rispetto delle garanzie individuali. Il risultato è che il garantismo è oggi, in Italia, una sorta di grande rimosso collettivo, che induce a ignorare esperienza e memoria. Eppure, la storia della proibizione legale della tortura, pur attenendo al diritto moderno, ha origini antiche nel tempo. Riguarda in modo diretto i concetti e i contenuti che fondano le libertà personali e lo stesso sistema democratico. Le sue radici sono rintracciabili nella Magna Charta e nell'habeas corpus. Le sue origini moderne si trovano negli scritti dell'Illuminismo giuridico italiano e nelle prime codificazioni del diciottesimo secolo. Con la tragedia dell'Olocausto il diritto internazionale dei diritti umani ha travalicato le barriere nazionali e la tortura è stata bandita dal novero delle pratiche considerate accettabili dagli stati democratici. La tortura, quindi, è oggi qualificata un crimine contro l'umanità. Lo è per il diritto internazionale generale. Lo è per il diritto internazionale positivo a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950. Successivamente una definizione di tortura valida su scala universale è stata formulata dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e i trattamenti e le pene crudeli, disumane o degradanti (1984). In quella convenzione è previsto che gli stati si conformino e puniscano la tortura nei loro ordinamenti giuridici interni. L'Italia, pur avendo ratificato il Trattato oramai venticinque anni fa non ha mai inserito il delitto di tortura nel codice penale, nonostante numerose proposte succedutesi nel tempo. È questa una omissione che ha comportato molte osservazioni critiche da parte degli organismi internazionali. Una omissione che lascia un enorme vuoto giuridico, normativo e culturale. Una omissione che produce impunità, come certificato oramai da più di un giudice. Una omissione, infine, tanto più rilevante in quanto si tratta dell'unico obbligo di punire previsto dalla nostra Carta costituzionale (art. 13, comma 4: "È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà"). D'altra parte, va ricordato che nel luglio del 1998 veniva solennemente firmato a Roma lo statuto istitutivo della Corte penale internazionale, destinato a giudicare tutti coloro che in qualunque area del mondo si fossero resi responsabili di crimini contro l'umanità, crimini di guerra e genocidio. Tra i crimini contro l'umanità, appunto la tortura. Quella grande, quella degli scenari feroci, delle dittature e delle guerre civili, comunque difficile da punire, risulta riconoscibile e identificabile. Quella più piccola, esercitata sulla scala modesta della sopraffazione di piccoli uomini contro individui inermi, può forse apparire sfuggente. Ma solo se riusciamo a chiudere gli occhi per non vederla.