Dal 2003 la Fillea Cgil monitora i morti sul lavoro nel settore dell'edilizia. I dati presentati ieri qualificano il 2006 come l'anno più nero. Sulla scorta di notizie d'agenzie e di ritagli di giornale, la Fillea ha conteggiato 258 omicidi bianchi. Un balzo del 35% rispetto al 2005, quando gli infortuni mortali monitorati erano stati 191. La Fillea ne aveva contati 231 nel 2004 e 215 nel 2003. La serie storica dimostra che il dato di un solo anno (il 2005, in questo caso) non basta a suffragare una presunta «inversione di tendenza».
Di inversione di tendenza, invece, parla da alcuni anni l'Inail. Le sue tabelle ufficiali registrano un calo degli infortuni (mortali e non), anche in edilizia e a fronte di un aumento del numero delle ore lavorate. «Saremmo ben contenti che fosse così», dice Franco Martini, segretario nazionale della Fillea. Il monitoraggio «fatto in casa» dalla sua organizzazione, pur conteggiando un numero di morti inferiore a quelli regitrati dall'Inail, mette in guardia «dall'eccesso di euforia». Serve a dire che il trend in calo segnalato dall'Inail è «estremamente fragile». Ai dati «ufficiali» dell'Inail sfuggono gli infortuni «occulti», spacciati per incidenti stradali o domestici, qualche volta persino per risse o suicidi. Almeno 200 mila all'anno, ammette l'Inail, e una fetta consistente di questi avvengono nell'edilizia, settore ad alto tasso di irregolarità.
Dei 258 morti in edilizia monitorati dalla Fillea nel 2006, 42 erano stranieri (+16% rispetto all'anno precedente). Negli ultimi anni i lavoratori stranieri iscritti alle Casse edili sono aumentati del 400%. Ci sono cantieri dove oltre il 50% degli addetti non sono italiani. Poichè tra i migranti il lavoro nero o grigio è più diffuso, è intuitivo che una quota consistente degli infortuni «passati sotto silenzio» ha come vittima uno straniero.
La mappa territoriale degli infortuni mortali in edilizia vede in testa la Lombardia, con 46 decessi. Seguono, a pari demerito (24 morti), Lazio e Campania. Il 47% degli omicidi bianchi è avvenuto al Nord. E' vero, osserva Martini, che lì si concentra buona parte del «mercato» delle costruzioni. Ma è altrettanto vero che lì si concentra la fetta maggiore di ricchezza prodotta. «Dovrebbe essere investita per formare i lavoratori e incrementare la sicurezza. Invece, prende altre strade che poco hanno a che fare con l'innovazione e la qualità».
Tra i caduti sul lavoro nel 2006 la Fillea registra tre minorenni. Due ragazzi di 16 anni e una ragazza di appena 15 anni. E' Giovanna Curcio, l'operaia bambina morta con una «collega» più anziana nel rogo della Bimal.tex, il materassificio nel sottoscala di Montesano (Salerno). Le loro morti sono state contabilizzate nel comparto del legno, che a sua volta rientra nel settore edile.
Nelle costruzioni la causa più frequente (40%) degli infortuni mortali restano le cadute dall'alto. In crescita le vittime travolte da gru, carrelli elevatori, ruspe (26%). L'11% sono morti travolti da un crollo, altrettanti sono stati colpiti da materiali o strumenti di lavoro.
Il 2006 è stato per la Fillea l'anno della campagna contro i «Diritti in appalto». Scopo principale: far uscire dal sommerso e dall'irregolarità i lavoratori migranti. Ricordiamo una bella e partecipata conferenza nazionale a Milano, con centinaia di delegati stranieri saldi sulle lore gambe, capaci di prendere parola e farsi valere. Un fatto positivo che, purtroppo, non si traduce in un contenimento dell'irregolarità e degli infortuni. Chiediamo a Martini perché questo succeda. La sua risposta sta tutta in una parola: «appalti». Senza una modifica delle norme sugli appalti, «neppure i più agguerriti sceriffi riusciranno a mettere ordine nel Far West dei cantieri». Impossibile far rispettare la 626 in un cantiere dove tra appalti e subappalti operano due o tre dozzine d'imprese e soprattutto d'impresine. I numeri parlano chiaro: un milione e 100 mila lavoratori dipendenti, a cui vanno aggiunti 800 mila «autonomi», in un settore che conta 700 mila imprese. Significa che in media ogni «impresa» ha meno di tre dipendenti. La frammentazione, incentivata dalla catena dei subappalti, è il vero «dramma» dell'edilia. Per estirpare il male alla radice vanno modificate le norme sugli appalti. «Non in peggio - ironizza Martini - come hanno fatto Berlusconi e Lunardi». Per modificare la legge sugli appalti i sindacati edili chiedono un tavolo «interministeriale» al ministro del lavoro Damiano e a quello delle infrastrutture Di Pietro. Contro il lavoro nero in edilizia il governo Prodi ha dato «segnali positivi» d'attenzione. «Ne aspettiamo altri, di più vasta portata».
Il primo segnale, a cui allude il segretario della Fillea, è il provvedimento d'urgenza inserito dal ministro Damiano nel decreto Bersani. Cartellino di riconoscimento per chi opera nei cantieri, assunzioni fatte un giorno prima che il dipendente inizi a lavorare, sospensione dei lavori per le imprese che superano il 20% di lavoro irregolare. Gli ispettori del lavoro da agosto a novembre hanno effettuato 7 mila ispezioni. Su 9.700 aziende controllate, 5.300 sono risultate irregolari. A novembre sono stati sospesi i lavori il 423 cantieri. Provvedimento revocato per 149, dopo che si sono messe in regola. Le sanzioni amministrative comminate ammontano a 6 milioni e mezzo di euro (in gran parte per lavoro nero). Martini apprezza, ma non molla l'osso degli appalti. Per quanti nuovi ispettori si assumano, non riusciranno mai a coprire 700 mila imprese. Analogo il discorso per gli Rlst, i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali (nell'edilizia dovrebbero essere 2 mila).
La Fillea ha presentato il suo report annuale alla vigilia dell'assemblea nazionale che Cgil, Cisl e Uil tengono oggi a Roma: «Qualità, benessere, sicurezza nel lavoro. Prevenire si può e si deve».