Definiamo assolutamente vergognose e inaccettabili le dichiarazioni rilasciate dal Presidente degli Industriali torinesi Gianfranco Carbonato in merito alla sentenza del processo ThyssenKrupp e ci riteniamo profondamente offesi, come Familiari, come Lavoratori e come Cittadini da dichiarazioni di questo genere. Le pene inflitte agli imputati sono piuttosto leggere se paragonate alla enorme gravità dei reati contestati, tenendo conto della condotta degli imputati prima e durante il processo. Sentenza che rappresenta per noi solo un primo, piccolo passo per ottenere giustizia.
Tali dichiarazioni vorrebbero sminuire, con il pretesto di un sentenza definita "troppo severa", la drammaticità di una delle più gravi stragi sul lavoro avvenute in Italia negli ultimi decenni, in una delle città simbolo delle lotte operaie. Far passare per persone "perbene" i 6 imputati, che non hanno minimamente esitato a risparmiare sulla nostra pelle, favorendo il crearsi di una situazione di gravissima carenza in fatto di sicurezza all'interno dello stabilimento, che ha portato alla strage del 6 dicembre, del tutto evitabile se solo non si fosse perseguita la solita smania di fare profitti a qualunque costo. Imputati che, vogliamo ricordarlo, già all'indomani della strage, con familiari, operai e cittadini ancora increduli dell'accaduto e immersi in uno straziante dolore, cercavano di alterare le prove dei loro crimini sostituendo i dispositivi di sicurezza all'interno dello stabilimento (tentativo sventato grazie all'interevento degli operai, in presidio davanti alla fabbrica) e in seguito facendo ignobilmente ricorso a numerose false testimonianze rese da parte di testimoni asserviti, nel tentativo di ridimensionare le proprie responsabilità. Idem per 4 ispettori dell'Asl, che avvertivano preventivamente l'Azienda dei controlli.
Questa sentenza, che potrebbe diventare un importante deterrente per contrastare gli imprenditori che non investono nella sicurezza, viene pesantemente strumentalizzata dai vertici della ThyssenKrupp (e dai rappresentanti di Enti locali, associazioni imprenditoriali e sindacali umbre) e utilizzata per minacciare i lavoratori di Terni (ai quali ribadiamo la nostra vicinanza e solidarietà), paventando la scelta del gruppo tedesco di un probabile abbandono dell'Italia, stante le condizioni accessorie, definite "troppo dure", imposte dalla sentenza. Come dimostrato dai lavoratori di Pomigliano e Mirafiori non dobbiamo cedere a questi vergognosi ricatti.
Ci chiediamo: la ThyssenKrupp rimarrà in Italia solo se si sentirà liberi di uccidere altri operai? Questo è il principio che sembrano far valere quanti attaccando la sentenza.
I lavoratori oggi li si può far lavorare in nero, più a lungo e con meno pause di riposo, imponendo salari "d'ingresso" ("da fame" in realtà: E. Marcegaglia e S. Marchionne insegnano) bassissimi, in situazioni di precarietà e ricattabilità costanti, sempre più sfruttati e sottopagati, finanche esporli al rischio di gravi infortuni e malattie. Li si può persino uccidere, senza che nessuno ne paghi mai le conseguenze, avrà calcolato più di un imprenditore, vista la totale impunità per questi tipi di reato. Non sono "suggestioni", come le definisce sfrontatamente qualche legale mercenario della ThyssenKrupp, è la realtà: accade migliaia di volte l'anno nelle fabbriche, nei cantieri, sulle strade. Dietro ogni morte sul lavoro non vi è un lavoratore disattento ma una volontà precisa di risparmiare sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori e di cercare il profitto calpestando i loro diritti. Come è avvenuto alla ThyssenKrupp. Questa sentenza, definita "storica", "epocale" (forse perché va a colmare, con decenni di ritardo, un'imbarazzante vuoto giurisprudenziale, rappresentato dalle migliaia di morti sul lavoro per i quali nessuno ha mai pagato?!) ristabilisce in parte il principio del diritto, sancito dalla nostra Costituzione, ad un lavoro sicuro e dignitoso e che la vita di un lavoratore non è derogabile a nessuna logica di profitto. Costituisce in parte anche una parziale vittoria morale per i familiari di Antonio, Angelo, Bruno, Roberto, Rocco, Saro e Giuseppe, che non riavranno i loro cari ma hanno ottenuto, per ora, un minimo di giustizia.
Per ora, perché ci attendiamo che tutte le condanne vengano confermate in Appello e in Cassazione e per questi delinquenti si aprano le porte del carcere. Anche in nome delle migliaia di morti sul lavoro e da lavoro (emblematico il caso Eternit), morti nel totale silenzio. Questa sentenza è dedicata anche a loro e ai loro familiari.
Una sentenza "storica" a cui si è arrivati anche grazie al fondamentale contributo derivante dalla costituzione di Parte Civile nel processo, mai avvenuta prima in Italia, di 48 lavoratori. Se hanno ritenuto di aver subito un danno Regione Piemonte, Provincia e Comune di Torino, noi operai, che dentro quella fabbrica lavoravamo esposti ad un rischio per la nostra vita senza che nessuno ce l'avesse mai detto, a maggior ragione, perché avremmo dovuto sentirci esclusi da questo tipo di ragionamento? Di questi 48 lavoratori una dozzina circa, gli ultimi rimasti in cassa integrazione, da tre anni sono discriminati e non ottengono un posto di lavoro, come avvenuto invece per altri ex colleghi ricollocati da Azienda ed Enti locali in Alenia Aerospazio, Amiat e Smat, ovviamente, manco a dirlo, nessuno di questi è costituito Parte Civile nel processo.
Dopo aver scritto nei giorni scorsi una lettera aperta rivolta ai futuri candidati Sindaco per la Città di Torino chiedendo loro di mettere al centro dell'agenda politica la questione dell'occupazione e del lavoro sicuro e aver chiesto agli Enti locali costituiti nel processo che i risarcimenti ottenuti (2,4 milioni di euro) vengano utilizzati per creare nuovi posti di lavoro, ribadiamo che manterremo alta l'attenzione sul processo, sul processo Thyssen-bis e sulla vicenda della ricollocazione lavorativa degli ultimi lavoratori ancora in cassa discriminati. Ingiustizie che non permetteremo cadano nel silenzio.
Sconcertante è la logica per cui la maggior parte della popolazione italiana e mondiale muore per produrre una ricchezza e dei profitti a cui oggi non ha accesso: si continua a morire sul lavoro, per malattie curabili, per l'inquinamento e la devastazione ambientale, per fame, per le guerre... in nome del profitto di pochi.