Rete Invibili - Logo
Quell'omicidio volontario cambia la giustizia sul lavoro
Fabio Sebastiani
Fonte: Liberazione, 16 aprile 2011
16 aprile 2011

Sette vittime, Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Giuseppe Demasi; sei imputati, ottantotto udienze effettive, un'accusa inedita in un procedimento per incidente mortale sul lavoro. E' la carta d'identità del processo alla multinazionale Thyssenkrupp, nella cui sede di Torino tre anni e mezzo fa andò in scena uno dei più orribili massacri sul lavoro. La Procura di Torino, con una mossa senza precedenti, ha deciso di procedere per omicidio volontario e non, come si è sempre fatto in casi di incidenti sul lavoro, per omicidio colposo: e così ha chiesto 16 anni e mezzo per l'imputato principale, l'ad Herald Espenhahn. Per gli altri, 3 anni e 6 mesi per i quattro dirigenti Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, e 9 anni per Daniele Moroni, tutti accusati di omicidio colposo e omissione di cautele antinfortunistiche. All'azienda, la giustizia italiana manda un conto di un milione e mezzo di euro di sanzione pecuniaria, cui si aggiungono 800 mila euro di confisca e misure quali il divieto di pubblicità per un anno e l'esclusione da contributi pubblici, agevolazioni e contributi e revoca di quelli già concessi.
La formula, in termini giuridici, è quella del «dolo eventuale». «Se il dolo eventuale non c'è in questo caso allora non esiste - hanno sostenuto due dei tre pubblici ministeri, Laura Longo e Francesca Traverso - perchè mai come in questo caso c'è stata la volontà forte di accettare il rischio». Espnhahn, è questa la loro tesi, posticipò di un anno gli investimenti antincendio su Torino «pur avendone programmata la chiusura», e rinviò gli interventi sulla linea 5 al momento del suo trasloco a Terni. Mentre gli operai continuavano a lavorare «in condizioni di crescente abbandono e insicurezza». La morte dei sette operai della Thyssenkrupp di Torino, arsi vivi da «un'onda anomala di fiamme» (la testimonianza è dell'unico sopravvissuto, Antonio Boccuzzi) che si era innalzata dalla linea 5 dell'acciaieria, è dovuta - secondo l'accusa - alla negligenza consapevole di chi, dovendo investire sulla sicurezza antincendio, non lo ha fatto, «accettando il rischio» di un incidente. La Thyssenkrupp, per allontanare lo spettro dell'omicidio volontario, ha messo in campo alcuni fra i migliori avvocati italiani, che hanno subito parlato di «processo politico», «desiderio di vendetta» e di «gogna mediatica», Mauro Audisio di «suggestione». Ma la squadra dei pm guidati da Raffaele Guariniello è andata dritta per la sua strada, tanto che il processo è cominciato dopo appena un anno.
Richieste pesanti anche delle parti civili: il Comune di Torino e la Provincia hanno chiesto un milione e mezzo di euro di risarcimento per i danni d'immagine e all'ambiente, mentre la Regione (anche per danni patrimoniali) ha quantificato sei milioni di euro: simbolicamente un euro e mezzo a testa per ogni piemontese. I sindacati hanno optato per 150 mila euro ciascuno.
La Thyssen aveva già risarcito con 12 milioni di euro (una cifra record) i parenti delle vittime, ma al processo si sono costituiti altri familiari e diversi operai che hanno chiesto danni per centinaia di migliaia di euro. In particolare per un gruppo di soccorritori sono stati chiesti risarcimenti da 260 a 420 mila euro perché la loro vita è rimasta sconvolta da quella notte: choccati come reduci del Vietnam, hanno incubi ricorrenti, attacchi di panico e devono ricorrere a psicofarmaci.
Le indagini, poi, non si sono limitate alla Thyssen: 5 ispettori dell'Asl avrebbero aiutato la Thyssen preannunciando i controlli e con prescrizioni non tempestive. Nell'udienza del 18 novembre 2009 è emerso anche che ex operaio della Thyssenkrupp aveva avuto contatti con due dirigenti dell'acciaieria che lo avevano avvicinato per "pilotare" le deposizioni. Da lì, quindi, una nuova indagine per falsa testimonianza con tanto di intercettazioni e pedinamenti: otto persone indagate, e quattro ex dipendenti che sono poi tornati in aula per ritrattare le loro deposizioni.
Per essere più efficace la procura aveva poi scelto di riprodurre in aula tutta la dinamica dell'incendio utilizzando un'animazione grafica al computer: sulla linea 5, gli operai che tentano di spegnere il fuoco con manichette ed estintori vuoti, e il "flash fire", ovvero l'esplosione di una nuvola di fuoco e olio incandescente che avvolge i sette operai, mentre Antonio Boccuzzi riesce a salvarsi solo perché riparato dietro un muletto. La sua testimonianza parla chiaro purtroppo: urla delle vittime, "aiuto, non voglio morire!", l'odore, le facce e i corpi dilanianti dal fuoco dei sette operai.
Negli ultimi giorni un gruppo di lavoratori ha scritto ai candidati sindaci di Torino denunciando di essere stati abbandonati al loro destino. «Negli ultimi tre anni noi lavoratori, che abbiamo portato avanti con coraggio e determinazione una giusta battaglia per la Verità e la Giustizia - si legge - siamo stati completamente abbandonati dalle Istituzioni di questa Città. Abbiamo ottenuto due proroghe degli ammortizzatori sociali ma il nostro obiettivo principale era e rimane un lavoro sicuro e dignitoso, come avvenuto per altri colleghi (assunti a tempo indeterminato per es. in Amiat e Alenia Aerospazio)».