Cala il gelo nella maxi aula del palazzo di giustizia di Torino quando prende la parola il consulente della difesa, Vittorio Betta, docente emerito di chimica industriale all'università di Napoli. Il tecnico non gira intorno alle parole e scandisce frasi pesanti come pietre. «Mi limito a dire che abbiamo fornito uno scenario di verità. Ci sono elementi per trarre tutte le deduzioni», è la premessa. Poi, nello sgomento generale prosegue: «Il piano di emergenza prevedeva che il capoturno, che era presente sulla linea, azionasse i dispositivi di emergenza chiamando sul posto la squadra di pronto intervento». Il capoturno era Rocco Marzo, cinquantaquattro anni, che diede l'allarme si lanciò contro le fiamme con la sua squadra nel tentativo di spegnere l'incendio. E' una ricostruzione quella del prof. Betta che sfida tutte quelle precedenti, e che getta sul processo una luce lugubre. Gli errori commessi, sempre secondo il docente, sarebbero doppi. Il primo: non aver azionato il sistema di centraggio che, se azionato «per tempo», avrebbe evitato lo sfregamento del rotolo d'acciaio sulla carpenteria. Questo avrebbe evitato le scintille e le relative fiamme. Il secondo: la linea era sporca. La carta che ha preso fuoco non era stata rimossa dagli operai. Nessuno lo dice ma questa si chiama negligenza, colpa, dolo. «Il tempo trascorso tra l'innesto e il divampare del fuoco e l'intervento degli addetti della linea 5 è pari a undici minuti» conclude il professor Betta. Cosa significhi questa ricostruzione da parte del perito non è ancora ben chiaro. Nelle prossime udienze si assisterà ad un surreale tentativo di scaricare la morte degli operai sulle vittime stesse? Il pubblico ministero Raffaele Guariniello ha tentato di smascherare subito l'impianto ideologico sottostante alla ricostruzione del tecnico, ponendo una domanda molto secca: «Ritiene che vi sia stata una violazione alla norme di sicurezza da parte degli operai?». E Betta ha risposto: «Lei è troppo intelligente per non aver inteso ciò che ho detto». Un frase data con tono raggelante che ha fatto venire i brividi a chi era presente. Dopodiché sempre Guariniello ha domandato più sbrigativamente se quanto è accaduto è colpa degli operai morti, ma nel momento in cui Betta si accingeva a rispondere veniva stoppato in malo modo dal presidente del Tribunale Maria Iannibelli. Domanda non ammissibile. Chissà perché.
Fuori dall'aula Raffaele Guariniello dava poi forma al pensiero di tutti: «Dicono che è colpa degli operai morti senza ammetterlo».
La deposizione del perito della difesa ha indignato le famiglie delle vittime. Laura Rodinò, sorella di Rosario, morto a ventisei anni commenta: «E' l'ultima carta, la più meschina e bassa, giocata da un difesa disperata che si arrampica sugli specchi. I ragazzi hanno fatto ciò che hanno potuto. E' come se gli venisse contestato di non essere andati al lavoro con un rilevatore d'incendio personale allacciato in vita. Così potevano dare prima l'allarme. Sono davvero indignata per quanto ho sentito. Non hanno nemmeno la coscienza questi».
Anche Antonio Boccuzzi ha subìto la versione del tecnico: «Non mi aspettavo un attacco così duro, freddo e cattivo. Questa tesi che insinua la negligenza da parte degli operai non ha alcun senso. Stanno solo cercando di salvare il salvabile».
La procura, che si batte per il riconoscimento dell'omicidio volontario e non colposo, ha puntato il suo lavoro proprio sul tempo di sviluppo dell'incendio. Secondo Guariniello, molti testimoni, e svariati tecnici, il fuoco sarebbe scoppiato in brevissimo tempo e non vi sarebbero dati che smentiscono questa tesi. Le fiamme avrebbero raggiunto una tubazione che trasportava olio alla pressione di 70 atmosfere. Un volta spaccato il tubo l'olio sarebbe schizzato a dieci metri, inondando gli operai appena giunti con gli estintori trasformandoli in torce umane. Il povero Rocco Marzo non avrebbe alcuna responsabilità perché nominato capoturno dell'emergenza da appena due giorni.
Il processo ThyssenKrupp, iniziato sotto i riflettori poi spentisi, prosegue velocemente verso la sentenza e continua riservare colpi di scena. L'ultimo risale a marzo quando un testimone dovette uscire scortato dai carabinieri perché l'incongruenza della sua deposizione aveva fatto sospettare un po' tutti rispetto delle imbeccate arrivate dall'azienda prima dell'udienza.
Parziale conferma venne poi quando un ex dipendente ammise in procura: «Ho avuto un incontro con i rappresentanti dell'azienda per un caffé e abbiamo parlato di alcune domande che mi avrebbero posto al processo e delle risposte che avrei dovuto dare».
Sono stati iscritti nel registro degli indagati per falsa testimonianza due ex operai e un ex quadro dirigenziale.