Ore 16.30. Di fronte all'ingresso dell'acciaieria il capannello di persone che osserva i mazzi di fiori lasciati per tributare il personale saluto alle vittime di queste morti assurde e orribili viene come risvegliato dal suono di alcuni clacson. Si presenta nel modo più fragoroso una ventina di motociclisti: quando i primi scendono dai loro bolidi cromati depositano un mazzo sormontato dal messaggio «con rispetto, i bikers», poi un minuto di silenzio fino all'applauso liberatorio. Il loro capo abbraccia due lavoratori della ThyssenKrupp e raccomanda di salutare Toni, ossia Antonio Boccuzzi, l'operaio che ha cercato disperatamente di strappare alle fiamme Antonio Schiavone, di 36 anni, Roberto Scola, di 32, Angelo Laurino di 43 e il 26enne Bruno Santino.
Le tute dei motociclisti sono completamente ricoperte di stemmi e motti: una ragazza sembra accarezzare con lo sguardo quello che in effetti è particolarmente adatto all'occasione, perché recita «meglio morire con toppe da valorosi piuttosto che vivere ben vestiti da vigliacchi». E come definire se non valorosi lavoratori che, per difendere il proprio posto, hanno trasformato in normale lo «straordinario», ormai due sinonimi nell'imbarbarito lessico produttivo. Intanto parcheggia la sua auto a pochi metri e deposita il suo mazzo Isabella, che spiega di essere qui «perché soltanto chi sa cosa significhi lavorare in fabbrica svegliandosi alle 4 del mattino può capire cos'è successo alla ThyssenKrupp». Lei lavora in un'azienda straniera che ha da poco dimezzato il numero di lavoratori, «e so già che mi aspetta la messa in mobilità». Si guarda intorno domandandosi sconcertata perché non ci siano molte persone qui in corso Regina Margherita, «e se non arrivano neppure adesso, anche queste morti cadranno in fretta nel dimenticatoio». Intanto Ciro Argentino, il lavoratore che era il migliore amico della prima vittima, Antonio Schiavone, ragguaglia i (pochi) curiosi sullo stato di salute degli altri operai in condizioni disperate.
Il primario dell'ospedale Maria Vittoria ha lasciato intendere che per Giuseppe De Masi non c'è più nulla da fare. Sempre critiche, al centro grandi ustionati di Genova, le condizioni di Rosario Rodinò, il lavoratore che si era visto cambiare il proprio turno poche ore prima del tragico incendio. Grave anche Rocco Marzo, ricoverato alle Molinette, il più esperto dei feriti con i suoi 54 anni, tanto che tra poche settimane sarebbe andato in pensione. Invece il lavoro che ha compiuto per una vita - divenuto letteralmente «usurante» per cause che spetta alla magistratura accertare - gli ha strappato anche il privilegio di potersi godere il meritato periodo di riposo. A chiedere di lui con particolare partecipazione è un ex lavoratore ThyssenKrupp, dei tanti (loro, sì) pensionati che in questi giorni sono passati di fronte all'acciaieria o in uno degli ospedali dove sono ricoverati gli operai. Per undici anni ha lavorato con Rocco in un'altra acciaieria, «facevo il gruista, con enormi responsabilità soprattutto quando ho cominciato a manovrare i comandi: un mio errore avrebbe significato la catastrofe», ma quando comincia a rievocare ricordi della sua esperienza di lavoro con il collega si commuove e si defila.
Nel frattempo è arrivato Antonio Boccuzzi, che abbraccia tutti coloro che si avvicinano a lui, «scusate ma ho bisogno del contatto fisico: di notte mi sveglio spesso, mia moglie mi chiede perché e io non posso che rispondere che ho negli occhi quelle scene drammatiche e l'inferno intorno ai miei amici» e le parole lasciano ancora una volta spazio alle lacrime. Lucido il racconto di uno dei lavoratori della squadra d'emergenza di turno alla ThyssenKrupp la notte della tragedia, che preferisce restare nell'anonimato specificando di non aver ancora reso testimonianza al procuratore Raffaele Guariniello. «Quando ho visto svilupparsi il piccolo incendio (che purtroppo è la regola per questo tipo di lavorazioni) sono sceso immediatamente da quella specie di pulpito che ospita la nostra postazione, ma purtroppo i tre estintori presenti sulla linea 5 non funzionavano: due erano scarichi e dal terzo è uscita una piccola quantità di CO2. Il telefono d'emergenza era fuori uso, così ho risalito le scale schiacciando i pulsanti del comando che in automatico ha messo in movimento gli enormi bomboloni di riserva. Ne è scaturito un gran fumo ed è stato praticamente tolto ossigeno al fuoco».
Un sistema di sicurezza aggiunto a seguito dell'incendio che nel marzo 2002 aveva investito una parte più ampia dello stabilimento senza fortunatamente causare feriti, ma che comunque è entrato in funzione troppo tardi a causa del malfunzionamento degli estintori. L'inchiesta del procuratore aggiunto Raffaele Guariniello ha portato alle prime tre iscrizioni nel registro degli indagati: i capi d'imputazione per i quali procede la Procura sono omicidio colposo e disastro colposo per individuare eventuali responsabilità: penali di alti dirigenti e civili della stessa ThyssenKrupp. Alla magistratura si affidano i torinesi, sotto choc per il manifestarsi in un colpo solo di tutte le contraddizioni che funestano il mondo del lavoro. Domani sarà lutto cittadino, con sciopero generale di otto ore e corteo con partenza da piazza Arbarello alle 10, quando i mezzi pubblici si fermeranno per due minuti e per cinque minuti i negozi spegneranno le insegne e abbasseranno le serrande. I consiglieri comunali devolveranno il gettone di presenza alle famiglie delle vittime ed anche i taxisti hanno organizzato una colletta.
I sindacati, viste le richieste di lavoratori e consigli di fabbrica, istituiranno un conto corrente per raccogliere fondi a sostegno di chi è stato depredato dell'amore ma anche del reddito, e continuano a chiedere che lo stabilimento non riprenda a lavorare, sollecitando una campagna per una vera sicurezza nell'industria.