nove feriti, alcuni in condizioni disperate, lavoravano da 12 ore
Antonio Schiavone è entrato nella sua fabbrica, la Thyssen Krupp Acciai Speciali, mercoledì pomeriggio poco prima delle due. Il suo turno sarebbe dovuto finire alle dieci di sera ma intorno all'una e mezza era ancora alla sua linea di produzione, la cinque. Oltre tredici ore di lavoro. Con lui c'erano altri operai che stavano seguendo il processo di decappaggio (l'operazione che elimina con sostanza chimiche la patina di ruggine dai prodotti laminati a caldo).
All'una e trenta una vasca che conteneva olio bollente ha traboccato per ragioni non ancora chiarite, è scoppiato un incendio violentissimo con fiammate che hanno investito in pieno una squadra di operai al lavoro. Antonio è stato investito in pieno dall'olio incandescente ed è deceduto all'istante. Lascia una moglie poco più giovane e tre figli piccoli, l'ultimo di pochi mesi. La fiammata ha investito altre otto persone e alcune di esse versano in condizioni disperate: Bruno Santino e Giuseppe De Masi, entrambi di 26 anni, sono ricoverati con i corpi quasi completamente coperti da ustioni. Angelo Laurino, 34 anni, si trova in rianimazione all'ospedale San Giovanni Bosco di Torino. Prognosi riservata per Rocco Marzo, 54 anni, con ustioni sull'80% del corpo, e per altri due colleghi tra cui Rosario Rodinò di 26 anni. Due lavoratori intervenuti per soccorrere i colleghi sono ustionati in modo più lieve. Maurizio Boccuzzi, infine, ha riportato ustioni leggere a una mano e al volto.
Mentre nella fabbrica scoppiava un incendio che devastava un'intera linea gli operai abbandonavano la produzione e si riversavano nel parcheggio del vicino corso Regina Margherita. Dopo poco minuti giungevano tredici squadre di vigili del fuoco con oltre cinquanta uomini. L'incendio, che ha anche provocato sversamenti di liquami tossici, è stato domato solo dopo cinque ore di lavoro. Alle tre di notte giungeva sul posto il magistrato Tiziana Longo (pool Guariniello) per l'apertura dell'inchiesta.
Verso le nove del mattino una folla di operai e sindacalisti si raduna davanti alla fabbrica: uomini e donne distrutti dal dolore e rabbiosi. Alcuni hanno assistito all'incidente e dopo aver tentato di risposare sono tornati davanti al luogo del disastro. Queste le loro parole: «Sei giornalista? Allora devi scrivere questo: io ho visto Antonio e Bruno con la pelle della faccia che si scioglieva, gli occhi scomparsi in fessure e i capelli fumanti. L'Italia che si indigna deve sapere come muoiono gli operai che vengono sfruttati per dodici ore al giorno!».
Due uomini si abbracciano e singhiozzano, altri urlano e minacciano di entrare dentro e spaccare tutto. A esasperare gli animi anche la storia, non confermata, che la fiammata sarebbe dovuta a una leggerezza che gli operai avrebbero commesso nel domare l'incendio, utilizzando dell'acqua.
E poi ancora rabbia: «Ci avete rotto i coglioni con la storia del cambio turno!», urla un ragazzo con i capelli rasati e braccio teso. La storia del cambio turno potrebbe essere la spiegazione della morte di Antonio Schiavone e del gravissimo ferimento dei colleghi. La direzione della Thyssen Krupp avrebbe imposto agli operai turnisti di rimanere sul posto di lavoro nel caso in cui il lavoratore del turno successivo non si presentasse. In un contesto di organico sottodimensionato questa richiesta si trasforma nell'ordine di straordinari forzati, talvolta anche - sempre secondo la testimonianza di alcuni lavoratori - di cinque o sei ore. In caso di rifiuto sarebbero scattate lettere punitive e minacce di licenziamento. La busta paga di Antonio Schiavone, variava tra i 1.400 e i 1.600 euro mensili.
Fuori dall'acciaieria arrivano anche alcuni operai già in pensione, che raccontano come nel tempo l'acciaieria non ha fatto altro che avvitarsi su se stessa, ossessionata dalla compressione dei costi e della superproduttività. «Due anni fa era successa la stessa cosa - racconta Gianni, da alcuni mesi fuori dalla fabbrica - ci fu un incendio e impiegarono cinque giorni a spegnerlo. Tutti sapevamo che prima o poi il morto ci sarebbe scappato». La Thyssen Krupp acciai speciali, sede di Torino, è come una fabbrica allo sbando, con gli occhi puntati solo alla prossima delocalizzazione (a Terni il prossimo marzo, cento operai lasciati per strada), che nel tempo non ha fatto altro che tagliare e disinvestire. Tutti i racconti degli operai sono così. La fotocopia uno dell'atro.
L'arrivo dei sindacalisti non è ben accolto. I più infuriati urlano: «Il sindacato in questa fabbrica non esiste più. Come non esiste più in Italia!». E poco importa dello sciopero di tutti i metalmeccanici proclamato per lunedì prossimo. «Questi scioperi, fatti sempre dopo le tragedie e mai per evitarle, non servono a nulla... Noi tra un mese saremo di nuovo dentro, a rischiare di morire per quattro soldi, e nulla sarà cambiato» commenta Lino, carrellista da dieci anni alla Tk.
Passano le ore ma la furia non si placa, qualcuno parla di occupare il corso in segno di protesta ma alla fine passa la proposta di un documento per denunciare le mancate condizioni di sicurezza all'interno della fabbrica. Mentre si discute un ragazzo sbotta: «Ma quale sicurezza, qui bisogna scrivere le cose come stanno: ci sfruttano come bestie, per questo moriamo!».