Si è tolto la vita impiccandosi alla sbarre della finestra della cella. Mohamed Bouakkaz, 25 anni, magrebino, era certo che l'indulto lo avrebbe tirato presto fuori da lì, invece, per lui, la pena da scontare era molto più lunga dei tre anni concessi dal provvedimento di clemenza che, nelle settimane scorse, ha svuotato le carceri italiane. Era dentro da più di due anni, condannato per droga e altri reati.
Per Mohamed la speranza della libertà si è trasformata ben presto in un cappio di disperazione. Solo nella sua cella si è tolto la vita dopo aver prima chiacchierato, come se nulla fosse, con le guardie carcerarie. È accaduto due giorni fa, nel penitenziario di Baldenich, in quella cella che l'uomo occupava da solo. Non un privilegio, ma un confino dovuto alla spigolosità del suo carattere estremamente introverso.
Nessuno lo voleva come compagno di sventura nei pochi metri quadri da dividere assieme 24 ore al giorno. Così, sfollate le celle, Mohamed ne aveva avuta una tutta per sé. E forse qui la sua disperazione è cresciuta. Quando gli agenti lo hanno trovato il suo corpo era ancora caldo. Hanno tentato di rianimarlo con un massaggio cardiaco. Invano. Mohamed si era ripreso la "libertà" negata dall'indulto. Quell'indulto che ha finito per infliggere altre crepe nella fragilità psicologica di chi vive la dura esperienza del carcere. Pare anche che non avesse parenti, non ricevesse né visite né telefonate. Non ha lasciato alcun biglietto, nessun messaggio per spiegare il suo gesto. Ma lo sapevano tutti che la speranza di poter uscire presto era diventata un'ossessione. Poi il gelo della realtà. E per Mohamed il buio.