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Roma: detenuto di 39 anni si impicca a Rebibbia
Fonte: Ansa, 20 ottobre 2006 - Il Tempo, 23 ottobre 2006
23 ottobre 2006

Ansa, 20 ottobre 2006
Si è impiccato alle sbarre della sua cella, con la cintura di un accappatoio. È stato trovato così Mauro Bronchi, 39 anni, in carcere a Roma con l'accusa di aver ucciso il 2 luglio di quest'anno Alice, la bimba di 5 anni figlia della sua ex convivente. Lo rende noto il suo avvocato. L'uomo era indagato per omicidio volontario. Secondo i magistrati avrebbe picchiato e immobilizzato la piccola che morì per asfissia. Alcuni giorni fa la procura della Capitale aveva chiesto il giudizio immediato. Secondo il pm Caterina Caputo e il procuratore aggiunto Italo Ormanni, l'imputato l'avrebbe prima picchiata e poi immobilizzata. Il delitto avvenne nell'abitazione di Bronchi a Prima Porta, dove l'uomo viveva con Viviana Di Laura, la madre della piccola vittima.
"Mi hanno detto che era tranquillo e che ieri si era addirittura informato delle possibilità di lavorare all'interno dell'istituto - ha commentato l'avvocato Fabio Federico, che si era recato in carcere a Rebibbia per un colloquio con il suo assistito. "È molto strano - continua l'avvocato - che il giorno dopo abbia cambiato così stato d'animo. Anche io lo avevo visto circa una settimana fa e lo avevo trovato molto sereno e fiducioso nella giustizia". Secondo alcune indiscrezioni, una ventina di giorni fa Bronchi aveva denunciato in carcere di essere stato picchiato da alcuni agenti di polizia penitenziaria. Il processo sarebbe dovuto iniziare il prossimo 23 gennaio davanti alla terza corte d'assise nell'aula bunker di Rebibbia.

Il Garante Regionale Angiolo Marroni

"Il detenuto aveva gravi disturbi mentali da tempo noti. Ora mi chiedo come poteva essere meglio seguito e trattato quest'uomo, autore di un crimine particolarmente odioso e violento che lo aveva di fatto isolato all'interno e all'esterno del carcere". Sono le parole usate dal Garante dei Diritti dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni per commentare la morte, in carcere, di Mauro Bronchi, 39 anni, accusato di aver ucciso lo scorso due luglio a botte Alice, 5 anni, figlia della convivente. A quanto risulta al Garante l'uomo si è tolto la vita impiccandosi all'interno della sua cella, al primo piano del braccio G9 di Rebibbia. Quando ha compiuto il gesto l'uomo era solo dal momento che gli altri suoi due compagni di cella erano impegnati o in colloqui o nell'ora d'aria.
Bronchi era arrivato a Rebibbia circa un mese fa, proveniente dal carcere di Regina Coeli, dove era stato rinchiuso fin dal giorno del suo arresto. Sempre a quanto risulta al Garante il disagio psichico dell'uomo era noto fin da prima del grave atto e violento di questa estate. Bronchi, infatti, aveva avuto la semi infermità psichica dopo aver compiuto un furto in un supermercato.


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Il Tempo, 23 ottobre 2006
Roma: detenuto morto; l'avvocato dice "l'hanno suicidato"
La cinta dell'accappatoio legata alle sbarre. Appeso a quella corda di fortuna, strangolato, un corpo ormai senza vita. L'hanno trovato così, Mauro Bronchi, impiegato, 39 anni, impiccato nella cella del carcere romano di Rebibbia dove, dal 4 luglio scorso, si trovava rinchiuso per l'omicidio della piccola Alice, la bimba di 5 anni della sua convivente strangolata "perché era indemoniata". Suicida, Mauro Bronchi, o forse "suicidato", dice ora il suo avvocato, Fabio Federico, che spende parole durissime nei confronti dell'amministrazione penitenziaria e ricorda l'istanza urgente indirizzata al pm Caterina Caputo di trasferire il suo assistito in un reparto dove fosse possibile "la videosorveglianza 24 ore su 24".

A scoprire il corpo di Bronchi i compagni di cella. Dei tre detenuti che condividevano con lui la prigione uno era al colloquio, gli altri erano fuori. Lasciato da solo per poco tempo, quanto ne può concedere la vita in una galera, al ritorno era già morto. Appeso alle sbarre ma, circostanza su cui l'indagine del pm Giancarlo Amato dovrà fare chiarezza, forse non del tutto sospeso per aria. Non sarebbe la prima volta che un uomo si uccide impiccandosi coi piedi per terra.

No, non sarebbe la prima volta, se la circostanza sarà poi confermata; ma ogni volta che accade un dubbio aleggia intorno al cadavere. Specie se la vittima in passato forse aveva avuto rapporti difficili coi compagni di carcere. Al punto che il sostituto Caputo aveva nei giorni scorsi aperto un fascicolo contro ignoti per le lesioni subite dall'uomo. Interrogato, Bronchi aveva detto d'essere caduto dal letto; versione ripetuta anche al criminologo Francesco Bruno, consulente che la difesa aveva nominato insieme al collega Bruno Calabrese.

"Sono caduto": così aveva spiegato i lividi e i graffi quell'uomo accusato d'aver ucciso una bimba; lui, detenuto non più in isolamento in un contesto, quello del carcere, da sempre spietato con chi tocca i bambini. Così ogni tanto misteriosamente "sveniva", il Bronchi, ed era poi ritrovato per terra con gli occhi pesti e i graffi sul viso. E poi aveva bisogno di radiografie alle mani, alla testa, al torace. Ora la morte per impiccagione, ufficialmente suicidio d'una persona instabile di mente. Che lo fosse, che fosse quanto meno seminfermo di mente, l'avevano già detto le consulenze di parte. E anzi la stessa storia di quell'atroce delitto del 4 luglio scorso aveva alzato il velo su un incubo durato troppo a lungo.

Alice, la bimba, era arrivata all'ospedale Sant'Andrea di Roma il 2 luglio ormai senza speranze, soccorsa dall'ambulanza, trovata dagli infermieri su un tavolaccio in cucina e già gravissima. Era stata l'autopsia a mostrare ai medici, e con loro ai carabinieri che indagavano, i segni di vecchie percosse e sevizie. Dalla mamma della piccola, la ventottenne Viviana Di Laura, erano arrivate le prime accuse al compagno. "Piangeva, l'ho stretta al collo", s'era difeso lui. Ma poi l'orrore era venuto fuori con gli interrogatori della Caputo e dal procuratore aggiunto della Capitale, Italo Ormanni: storie di riti misteriosi cui la creatura sarebbe stata sottoposta - a detta della Di Lauro - anche a casa di altri parenti, sospetti di abusi sessuali da parte di familiari diversi, scenari inquietanti ancora solo sfiorati dall'inchiesta iniziata dopo la morte.

Sottratta a tutto questo dalla mamma, aveva cominciato questa nuova vita con lei e il compagno di lei: Bronchi. All'inizio era andato tutto bene ma poi il tarlo della follia s'era insinuato nel ménage di quella coppia così strana. Lui, Bronchi, aveva iniziato a parlare del diavolo, a immaginare Alice posseduta, a temere che "una notte ci ucciderà". Ed era entrata in gioco la figura di un santone, erano cominciati riti contro il malocchio, pentole di sale sotto il letto, bacinelle piene d'acqua, tecniche per placare una bambina "irrefrenabile". Mauro, già giudicato seminfermo di mente nel 2001 in un procedimento di separazione dalla moglie, stringeva le mani al collo di Alice per procurarle una "leggera anossia", riuscendo così a "sedarla". Mauro legava Alice a un catino pieno di panni sporchi per "domarla". Mauro l'ultima volta ha stretto troppo, e la bambina, trovata dai medici con il corpo completamente tumefatto, alla fine è morta. Tre mesi dopo il patrigno l'ha raggiunta nello stesso modo: stringendo un cappio attorno al collo.