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Giustizia: sotto l'indulto... niente
Contraddizioni e auspici a margine del provvedimento votato alla Camera. di Sergio Segio
Sergio Segio
Fonte: Redattore Sociale, 29 luglio 2006
29 luglio 2006

Dopo 16 anni dall'ultima volta e dopo sei dalla grande speranza del Giubileo, alfine è arrivato il voto positivo della Camera sull'indulto. L'amnistia si è persa silenziosamente per strada, determinando il controsenso che i magistrati continueranno a lavorare su procedimenti e definiranno condanne in buona parte destinate a essere archiviati e condonate. Si è posto insomma mano al sovraffollamento carcerario ma non a quello dei fascicoli giudiziari, questioni invece strettamente connesse. Schizofrenia del legislatore o misteri degli accordi politici.

In compenso si sono esclusi reati poco rappresentati e di scarsa incidenza, mentre se ne sono compresi altri dai gravi riflessi per la collettività: non tanto quelli sulla pubblica amministrazione, ma quelli in materia di lavoro e ambientale, che hanno visto la timida protesta della sola Cgil, protesta resa invisibile a differenza di quella, enfatizzata oltre modo, del ministro Di Pietro. La cui posizione, peraltro, risulta del tutto coerente, seppur furbescamente, con la sua storia e convinzioni.

Meno comprensibile, a prima vista, quella del segretario Diliberto. Non fosse che - con tutto il rispetto per la persona - va ricordato che è egli stato il ministro Guardasigilli durante il massacro dei detenuti nel carcere di Sassari e il defenestratore da capo dell'Amministrazione penitenziaria, per far posto a Giancarlo Caselli, di Alessandro Margara, massimo esperto di cose penitenziarie in Italia, oltre che gran galantuomo.

Del resto, l'indulto, per propria ratio, non dovrebbe mai prevedere esclusioni. Ma assieme all'amnistia si è perso per strada quel "piccolo piano Marshall" per le carceri, vale a dire quella proposta avanzata nel 2000 da tutte le reti delle associazioni, del volontariato, della cooperazione sociale, dei sindacati, delle comunità di accoglienza, persino delle piccole imprese artigiane, che diceva una cosa semplice: la gran parte dei reclusi è costituita da poveri, immigrati, tossicodipendenti. 1 su 4 non ha casa dove andare quando esce, 1 su 2 non possiede istruzione e lavoro. Se non si predispone un piano eccezionale di sostegno al reinserimento sociale e lavorativo, almeno il 60% di coloro che usciranno dal carcere è destinato a tornarvi in breve tempo. Come "cartello" nazionale di realtà presenti sul territorio e attive sui temi del disagio - dicemmo e scrivemmo su intere pagine sul "Corriere della Sera"- siamo a disposizione per questo piano, per fare da "paracadute", da ponte tra carcere e società, ed evitare che si inneschi la spirale della recidiva, altrimenti certa. È possibile salvaguardare assieme clemenza, umanità e legalità nelle carceri con un discorso di sicurezza dei cittadini e sul territorio.

Basta passare dalla demagogia ai progetti concreti e all'attivazione di sinergie tra il privato-sociale e le istituzioni, comprese quelle locali. Naturalmente, anche le istituzioni e il governo devono fare la loro parte, predisponendo misure adeguate, ad esempio di borse lavoro, per aiutare la rete del volontariato e del Terzo settore a gestire tale progetto, i cui costi sarebbero assai minori della detenzione in carcere o delle stesse rette che vengono corrisposte per la detenzione all'esterno o nelle comunità. E la cui resa - in termini di integrazione e di sicurezza -, prevedibilmente, infinitamente più alta. Dopo svariati incontri al ministero e col passato governo di centrosinistra e fiumi di promesse questo progetto finì in nulla, così come l'indulto e l'amnistia.

A questa ripresa di iniziativa e dibattito parlamentare avremmo voluto rilanciarlo, in accordo anche con i maggiori sindacati della polizia penitenziaria e con gli operatori, ma il ministro della Giustizia non ha ritenuto di incontrare le associazioni, che lo avevano richiesto e gli avevano scritto al proposito sin da maggio, al termine di un'affollata assemblea di operatori, detenuti e volontari. Immaginiamo che gli impegni fossero molti e gravosi. Non è questo il problema. Il problema è che un indulto che nasce e finisce nel chiuso delle aule parlamentari, senza ascolto del sociale, rischia - anzi, è certo - di mandare elusi i problemi, invece centrali, del reinserimento.

È purtroppo facile ipotizzare che tra non molto il pendolo politico, dopo aver battuto il necessario e tardivo colpo dalla parte della clemenza, tornerà a batterne consecutivamente molti sul versante dell'allarme sociale e delle campagne securitarie contro il crimine e i reati che sono destinati - a bocce ferme - all'aumento statistico. In ciò, come sempre, avrà un ruolo decisivo e trainante l'informazione. O meglio la disinformazione, che troppo spesso si riscontra attorno alle questioni penali e carcerarie. Un esempio c'è già oggi sulle pagine del "Corriere della Sera" dove, dalla grafica proposta, si dovrebbe intendere che l'indulto riguarderebbe ben 6.152 autori di omicidi volontari. Una cifra del tutto incredibile, che però si getta in pasto all'opinione pubblica e forse anche ai senatori che ancora dovranno discutere e auspicabilmente approvare il provvedimento. I detenuti e i volontari intanto ringraziano (Di Pietro e Diliberto a parte, ovviamente), ci mancherebbe. Ma, come spesso, si rischia di aver perso una buona occasione.