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Volterra: 2 detenuti morti suicidi; la lettera di una volontaria
Fonte: Ristretti.it
29 maggio 2006

È arrivata in redazione questa lettera, scritta da una volontaria nel carcere di Volterra: "Cari amici di Ristretti Orizzonti, voglio comunicarvi di due suicidi avvenuti nel carcere di Volterra. Io faccio volontariato là da più di 2 anni. Il giorno 24 maggio il giornale Il Tirreno ha parlato del secondo suicidio, ma non mi pare che lo abbiano fatto anche altri. Il primo suicidio è passato sotto silenzio. Il 20 maggio 2006, durante la notte, un giovane di circa 34 anni si uccide col gas del fornello e una busta di plastica, lascia una lettera con la richiesta di divulgarne il contenuto.

Il giovane si chiama Maurizio Cicatelli, di Battipaglia (Sa), detenuto da parecchi anni (forse 10 non ricordo), doveva scontarne ancora 6, credo, da quanto mi disse tempo fa. Era molto sensibile, soffriva moltissimo per la detenzione e il distacco dagli affetti familiari. Di recente aveva saputo di essere padre di una bambina e questo gli aveva ridato la voglia di vivere; pochi mesi fa si era sposato in carcere con la mamma della bambina e sembrava aver riacquistato delle speranze per il futuro. Negli ultimi giorni prima di morire aveva ricevuto il rigetto della richiesta di permesso premio. A mio avviso è sempre stato sottovalutato tutto di lui: la sua sofferenza, la sua sensibilità, le sue richieste di aiuto, la sua disponibilità ad assumersi delle responsabilità grosse come un matrimonio e una figlia, la sua intelligenza del cuore.

L'altro suicidio avvenne il 14 febbraio 2005, di pomeriggio, poco dopo le 17, orario in cui le celle vengono riaperte dopo 2 ore di chiusura. Quel giorno si impiccò Mohsen Fazani, giovane tunisino di circa 36-37 anni. Lo conoscevo poco, era molto intelligente e riflessivo e tanto sofferente. Delle sue intenzioni suicide si sapeva da qualche mese, io lo avevo saputo da un suo compagno e avevo avvisato la direzione e gli ispettori che provvidero a tenerlo d'occhio (e lo hanno fatto di sicuro).

Che dire? La detenzione, la reclusione stessa è un omicidio lento a cui i detenuti riescono a far fronte con sorprendenti risorse personali vitali, prodigiose sopravvivenze. In un carcere in cui ci sono alcuni operatori in buona fede, che credono nel trattamento e lo applicano come possono, con le difficoltà delle sproporzioni numeriche, come è possibile che non si accorgano dell'enorme portata di sofferenza e mortificazione che la detenzione comporta? Parlando con loro è questo che io vedo, buone intenzioni e poca consapevolezza. Saluti affettuosi".