Le carceri italiane sono uso schifo. Anzi "un canile". Si vive male, non ci sono diritti, nessuno fa niente per affrontare la situazione. E l'amnistia sembra sempre più una chimera. La denuncia viene da don Sandro Spriano, cappellamo da decenni nel carcere romano di Rebibbia. Spriano dice che i detenuti ancora aspettano l'amnistia ma "con più rassegnazione di prima. Continua qualche lotta, qualche sciopero del cibo e del lavoro per cercare di richiamare l'attenzione. Ma ci accorgiamo che queste iniziative non hanno effetto. Però la speranza in loro non è morta, come non è morta in me che pure vedo la vita nelle carceri ridotta a livelli di canile".
Poi don Spriano parla dei problemi della sanità e dice che sono sempre più grandi: " Il diritto alla salute in carcere non c'è. La sanità è l'aspetto della vita in prigione che più fa acqua. E' gestita dal ministero della Giustizia che non ha i soldi per gestirla. In questi ultimi tre anni le finanziarie hanno tagliato più del 35 per cento dei fondi per la sanità in prigione. Quando si deve ricoverare un detenuto è un calvario, a causa della burocrazia, dei permessi: prima che si abbiano tutti i nulla-osta passa del tempo e il detenuto muore". Infine don Spriano se la prende coi politci che visitano il carcere. Dice che non mantengono gli impegni. Per esempio, racconta, il presidente della Camera Casini ha visitato, di recente, Rebibbia femminile e ha dichiarato «mai più bambini in carcere», ma poi non si fa niente e rimane così solo un'immagine molto scialba di un intervento che non c'è.
La scomparsa di Alberico Somma, trovato morto mercoledì in una cella del carcere di Porto Azzurro, sarebbe da attribuire a una lite improvvisa. E' questa l'ipotesi attorno alla quale lavorano gli inquirenti dopo che il cadavere dell'uomo con la gola squarciata è stato trovato nella sua cella. «Credo - ha detto Domenico Zottola, responsabile dell'area trattamentale del carcere San Giacomo - che il delitto sia il frutto di una lite». In carcere per aver ucciso moglie e figlio per gelosia, Somma, secondo gli inquirenti, non aveva rapporti particolarmente stretti con gli altri detenuti. L'uomo lavorava nell'azienda agricola.
Un'altra morte in cella, in particolare quella di Marcello Lonzi avvenuta nel carcere di Livorno, è tornata ieri alla ribalta della cronaca. Una telefonata anomima all'Ansa di Genova ha annunciato la presenza di una bomba nella procura locale. «Per Marcello Lonzi» ha rivendicato la voce. L'allarme si è rivelato poi falso. Sulla sua morte si indaga ancora. Il caso era stato archiviato ma la madre che ritiene che il figlio sia morto a seguito di pestaggi, ha denunciato il magistrato che aveva disposto l'archiviazione ed ora un fascicolo è ancora aperto alla procura di Genova. Sul fronte carceri polemiche poi hanno suscitato in questi giorni le dichiarazioni del segretario del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria. Ispirato dal discorso manicheista di Pera, il sindacalista ha lanciato l'allarme su un presunto proselitismo dei musulmani nelle carceri. Per Patrizio Gonnella si tratta di una «baggianata». Flash dal pianeta carcere che fanno luce su una realtà complessa e alle prese, specie in estate, con difficoltà crescenti. Un'osservatore privilegiato è senz'altro don Sandro Spriano, cappellano da decenni del carcere romano di Rebibbia.
Don Spriano cosa pensa dell'allarme lanciato dal Sappe su un proselitsmo dei musulmani nelle carceri?
L'ipotesi non è realistica.
Bibbia e Corano convivono nelle carceri?
Convivono le persone, come si può convivere in una situazione di carcere e sovraffolamento. Non ci sono problemi di conflitti di fede. Molti musulmani vengono alla messa festiva. E' per loro un modo per avere un contatto con Dio. Per alcuni detenuti, né più ne meno come accade fuori, la fede è viva per altri meno. Non mi risulta comunque che ci sia proselitismo. I litigi che si verificano non sono certo tra cristiani e musulmani.
In estate, per le ferie degli agenti, nelle carceri diminuiscono i servizi. Qual è la situazione?
Dal mio osservatorio vedo una cosa molto positiva che riguarda i detenuti. Si stanno comportando in maniera egregia nonostante le difficoltà. Io stesso mi chiedo come mai non ci siano reazioni ai tanti problemi che in estate aumentano, la scarsa igiene, i contatti con i familiari che si riducono. In estate poi si verificano episodi di autolesionismo. Ogni estate c'è sempre qualcuno che tra tutte le difficoltà decide di togliersi la vita. Finora, fortunatamente, qui a Rebibbia non abbiamo avuto alcun caso.
Fu lo stesso Giovanni Paolo II a parlare di amnistia ai detenuti. Ci sperano ancora?
Sì. L'aspettano sempre, con più rassegnazione di prima. Continua qualche lotta, qualche sciopero del cibo e del lavoro per cercare di richiamare l'attenzione. Ma ci accorgiamo che queste iniziative non hanno effetto. Ma la speranza in loro non è morta, come non è morta in me che pure vedo la vita nelle carceri ridotta a livelli di canile.
La questione tossicodipendenza in carcere è scottante. Lei come la vede?
Il problema è molto evidente. Non si vuole eliminare la droga dalla nostra società civile. Ormai è diffussima. E' un business troppo grande e così, mentre i tanti che hanno denaro la comprano e la assumono, si buttano in carcere coloro che non hanno i soldi per acquistarla, che sono poveri e sono costretti a fare rapine per trovare denaro per comprala. Vivono in carcere gli anelli più deboli di questa catena allucinante. Non c'è assolutamente volontà di affrontare il problema alla fonte. Ormai nessuno cerca di limitare la diffusione. Si dice che c'è droga nel mondo della politica, nel mondo dello spettacolo e quasi non ci si scandalizza più.
Ieri mattina rivendicando una bomba, poi rivelatasi un falso allarme, si è fatto riferimento ad un ragazzo morto in carcere, si sospetta per pestaggi da parte di agenti. Questi episodi sono frequenti?
Dal mio osservatorio nonostante sia critico rispetto a certi metodi devo dire che è aumentata la maturità e la professionalità degli agenti. I pestaggi, una volta più frequenti, oggi sono fenomeni abbastanza eccezionali. Si tratta più di piccoli regolamenti di conti reciproci. Non si verificano più pestaggi organizzati.
Il diritto alla salute in carcere spesso non è garantito. Qual è la situazione sanitaria?
La sanità in carcere è l'aspetto che più fa acqua. E gestita dal ministero della Giustizia che non ha i soldi per gestirla. In questi ultimi tre anni le finanziarie hanno tagliato più del 35 per cento dei fondi. Quando si deve ricoverare un detenuto è un calvario, a causa della burocrazia, dei permessi: prima che si abbiano tutti i nulla osta passa del tempo e il detenuto muore. Hanno creato poi nuove strutture negli ospedali, come al Pertini, che sono per lo più supercarceri. Il detenuto ricoverato vive in un grosso isolamento e le aspettative di guarigione diminuiscono perché viene a mancare l'aspetto della convivenza, del contatto umano
Come vivono i detenuti le visite di politici ed amministratori nelle carceri?
Dico la verità, con assoluta indifferenza. Da qualunque parte vengano. Si tratta delle solite visite con la maglia sulla schiena. Si viene a dire che le cose non vanno. Mancano poi gli interventi veri. Il presidente della Camera Casini ha visitato di recente, per esempio Rebibbia femminile e ha dichiarato «mai più bambini in carcere» ma poi non si fa niente e rimane così solo un'immagine molto scialba di un intervento che non c'é.