Gli immigrati costituiscono una parte significativa della popolazione carceraria in Italia e, molto spesso, i detenuti stranieri sono considerati un motivo di allarme sociale. Gli studi sociologici sul fenomeno sono ancora scarsi e la parola immigrato è frequentemente associata alla propensione alla criminalità. Comunque, se è vero che l'incidenza extracomunitaria nelle carceri è aumentata considerevolmente negli ultimi anni (dal 16% nel 1991 a 30,1% del totale nel 2002, secondo Caritas, Dossier Statistico Immigrazione 2003), è ugualmente lecito evidenziare che, non disponendo, nella maggior parte dei casi, di punti di riferimento familiari e lavorativi, gli immigrati non accedono facilmente ai percorsi alternativi alla detenzione come, per esempio, la semilibertà, la detenzione domiciliare e il servizio sociale. Inoltre, risultando, nella maggioranza dei casi, privi di risorse economiche, essi non possono usufruire dell'assistenza di avvocati scelti da loro stessi.
Un secondo aspetto da sottolineare è che una gran parte delle denunce contro i cittadini stranieri rilevate dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia risulta frutto dell'applicazione di una condanna provvisoria, fenomeno che evidenzia il frequente ricorso alla custodia cautelare nei confronti degli immigrati. Quanti sono i detenuti stranieri? Da dove vengono e, soprattutto, quali sono le iniziative che essi intraprendono all'interno degli istituti di pena?
Secondo i dati diffusi dal D.A.P, nel giugno del 2003 la popolazione carceraria (case di reclusione, case circondariali e istituti per le misure di sicurezza) in Italia, era pari a 56.403 persone e i detenuti stranieri ammontavano a 16.636 persone, ovvero circa il 29,5% del totale.
Per quanto riguarda i paesi di provenienza dei detenuti extracomunitari, è interessante notare che essi coincidono, in linea di massima, con le aree di maggior flusso migratorio verso l'Italia. I dati del Ministero della Giustizia illustrano che il 22,2% dei detenuti extracomunitari viene dal Marocco, il 16,9% dall'Albania e l'11,7% dalla Tunisia, mentre le stime del "Dossier Caritas", elaborate su dati forniti dal Ministero dell'Interno, confermano che il Marocco e l'Albania, assieme, rappresentano il 23% dei soggiornanti presenti sul territorio nazionale.
Anche la distribuzione territoriale dei delitti commessi in Italia da cittadini stranieri coincide con le località ad alta concentrazione di immigrati. Secondo i dati di un rapporto Istat del 2001, 1/3 delle persone coinvolte nei reati ha agito nel Nord Ovest e al Centro, aree che occupano il vertice della classifica con un alto numero di soggiornanti extracomunitari. A livello regionale, invece, la Lombardia registra uno dei tassi più elevati di imputati sul totale dei detenuti stranieri (63,4%), seguita del Lazio, dal Piemonte, dall'Emilia Romagna e dalla Toscana, ognuna con percentuali che oscillano tra il 9 e l'11%.
Sono forse gli stranieri gli autori della maggior parte dei reati? Nient'affatto. Nonostante il D.A.P abbia registrato, nel 2002, un aumento del 23,6%, rispetto l'anno precedente, nel numero dei reati ascritti all'intera popolazione carceraria, il totale dei delitti attribuiti agli stranieri può essere considerato marginale rispetto a quello degli italiani. Il rapporto fra i due valori dimostra che oltre otto reati su dieci sono ascritti a cittadini italiani.
Altri dati di rilievo sono il numero di 923 detenuti stranieri espulsi dall'Italia dopo il 30 luglio 2002, data dell'entrata in vigore della legge n.189/2002 (cosiddetta Bossi-Fini), e la ridotta media nazionale di donne rispetto all'intera popolazione carceraria straniera: soltanto il 6%. Ancora nell'ambito femminile, l'esame dei titoli detentivi dimostra che la maggior parte dei reati delle donne è vincolata alla prostituzione, un fenomeno che, quasi sempre, nel caso delle immigrate, è segnale di violenza e di sfruttamento ad opera di organizzazioni criminali.
In ogni caso, queste non sono le statistiche più allarmanti che riguardano le persone che si trovano dietro le sbarre. Le condizioni disperate della reclusione negli istituti hanno fatto sì che, tra il gennaio del 2002 e il settembre del 2003, circa 250 detenuti arrivassero a togliersi la vita. Lo dice il dossier "Morire di Carcere", il primo rapporto nazionale sui decessi nelle carceri italiani. Tra i risultati più importanti che emergono dall'indagine c'è il fatto che per 134 morti non è stato possibile stabilire la causa e che il numero di morti per malattia è quasi raddoppiato nel corso di sei anni (da 78 nel 1996 a 113 nel 2002). I suicidi avvengono con più frequenza al sud e nelle isole (principalmente in Sardegna), mentre al nord le carceri di Marassi (a Genova) e di San Vittore (a Milano), sono quelle con il maggior numero di decessi. Inoltre, si è notato che l'incidenza del suicidio è maggiore tra gli italiani che tra gli stranieri (98 contro 26), soprattutto in età compresa tra i 20 e i 30 anni. Gli inquietanti dati del dossier hanno stimolato i professionisti del settore ad invocare un'attenta vigilanza sul fenomeno dei suicidi e a difendere l'istituzione della figura del Garante per i diritti dei detenuti.