Rete Invibili - Logo
L'edilizia penitenziaria e il clan dei costruttori
Sergio Segio
Fonte: Fuoriluogo, 27 maggio 2005
27 maggio 2005

Un primo grido d'allarme e richiesta di attenzione su Dike era venuto da Franco Corleone, in un articolo su "il manifesto" del 25 giugno 2004. Stiamo parlando di Dike Aedifica Spa, voluta dal ministero della Giustizia, da non confondersi con Dike, la rivista bimestrale promossa da Eurispes, diretta da Antonio D'Amato, Gian Maria Fara, Renzo Foa, Mario Pendinelli, Rosario Priore e inizialmente anche da Gian Carlo Caselli.
Compito statutario della società, sorta nel luglio 2003 e controllata dalla Patrimonio Spa del ministero dell'Economia, la realizzazione dei programmi di edilizia carceraria. Il meccanismo previsto è stato nuovamente puntualizzato dal ministro della Giustizia Roberto Castelli nell'intervento all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2005: "Alla Dike Aedifica saranno attribuite le risorse derivanti dalla vendita dei penitenziari dismessi, che saranno utilizzate per la costruzione di nuove carceri, per il rifacimento o la ristrutturazione di immobili esistenti o anche per l'acquisizione di nuovi immobili, sì da soddisfare le pressanti esigenze di edilizia penitenziaria e giudiziaria del Paese".
La forma di acquisizione privilegiata sarà quella della locazione finanziaria. In sostanza, lo Stato venderà il proprio patrimonio immobiliare per edificare e affittare nuovi istituti di pena, fatta salva la possibilità di rilevarli a fine locazione. La società, infatti, consegnerà circa ottanta istituti di pena alla Patrimonio Spa che li venderà; le risorse derivanti finanzieranno i nuovi istituti, i cui appalti saranno determinati dalla Dike.
La convenienza economica è molto dubbia, ma questa è ormai la logica di fondo, già introdotta dal centrosinistra con la legge finanziaria 2001: aprire anche in questo settore ai processi di privatizzazione, in particolare attraverso il project financing e il leasing.
Sempre su "Il Manifesto" è stato denunciato che le caratteristiche dell'operazione sono quelle di "un piano straordinario di edilizia penitenziaria a misura di Lega" che "serve ad allargare il business degli amici costruttori e ad accarezzare la voglia di sbarre degli elettori di destra del Nord" (Dario Stefano dell'Aquila, "il manifesto", 11 luglio 2004).
A contorno e conforto di questi indirizzi e strategie, già nel 2001 erano state avanzate proposte di legge quali la n. 1904 presentata alla Camera da esponenti di AN "Attribuzione al ministero della Giustizia delle competenze in materia di edilizia penitenziaria", tesa a sottrarre prerogative al ministero delle Infrastrutture, e la n. 645 depositata al Senato da rappresentanti di Forza Italia, "Norme sull'edilizia carceraria nei centri urbani", che, oltre a proibire nuovi insediamenti penitenziari nei centri storici, rende disponibili e dismissibili (cioè vendibili) quelli già esistenti. Insomma, una manovra a tenaglia.
Sempre nel 2004, di Dike si parla ancora di sfuggita in agosto in un articolo su "Liberazione". Passa l'estate e la palla viene raccolta da "L'Espresso", con un servizio a firma Francesco Bonazzi dal titolo più che esplicito: "Frà mattone va in prigione". Sottotitolo: "Quasi 1 miliardo per il biennio 2003-2004. Da investire in nuovi istituti di pena. Una bella fetta sarà gestita da una società. Piena di bei nomi".
La società, inutile dirlo, è Dike Aedifica. Tra i bei nomi, quello di Giuseppe Magni, definito dal settimanale, assieme al generale Enrico Ragosa, "i veri dominus" della situazione, quelli che "danno le carte".
Magni è il sindaco leghista di Calco, in provincia di Lecco, consulente del ministro della Giustizia Roberto Castelli proprio riguardo l'edilizia penitenziaria.
Il 23 marzo 2005 esce la notizia di un'inchiesta della procura di Roma su presunte irregolarità ed episodi di corruzione legati agli appalti per la edificazione o ristrutturazione di alcuni istituti penitenziari, nel cui quadro la Guardia di finanza perquisisce l'abitazione e gli uffici di Magni, il cui interrogatorio viene rinviato essendo l'esponente leghista candidato alle regionali del 3 e 4 aprile. Magni, adombrando che l'iniziativa giudiziaria possa trarre origine appunto nella sua candidatura, comunica di essersi dimesso dall'incarico presso il ministero della Giustizia a fine febbraio. Un tempismo ammirevole.
Il 7 aprile "L'Espresso" insiste sul ruolo di Dike, come si è detto partecipata al 95% dalla Patrimonio Spa, a sua volta controllata dal governo e amministrata da Vico Valassi, concittadino di Magni e del ministro Castelli, ma soprattutto rivela l'esistenza di un video sulla cui base Magni viene indagato per corruzione assieme al costruttore romano Angelo Capriotti e al progettista Giorgio Craveri. Secondo il settimanale, comincia a farsi il vuoto attorno al "superconsulente" di Castelli, "a cominciare dal generale Ragosa, in malattia da febbraio".
Ragosa, nell'amministrazione penitenziaria, è il direttore generale del settore beni e servizi, dal cui Ufficio IV dipende anche il servizio tecnico per l'edilizia penitenziaria. Una figura centrale, con una carriera non certo da scrivania: già a capo del Servizio di Coordinamento Operativo, le squadre speciali in seguito denominate Gom (da lui definiti "operai specializzati nella sorveglianza"), poi al Sisde, infine chiamato dal ministro Oliviero Diliberto a dirigere l'Ugap, una sorta di intelligence dentro le prigioni inventata appositamente per lui, sotto la guida di Gian Carlo Caselli quando questi divenne il capo del Dap, dopo il defenestramento operato da Diliberto del garantista e galantuomo Alessandro Margara. Il generale è un personaggio la cui carriera non si è certo inceppata con il cambio di governo. In una rara intervista del 1996, forse non ricordando che polizia e agenti penitenziari sono da tempo smilitarizzati, dichiarava: "Avevo preso la tessera della CGIL ma ho dovuto restituirla; un militare non può iscriversi a un sindacato". Anche lui è da tempo sostenitore della strategia edificatrice, oltre che negatore dell'evidenza: "Non abbiamo carceri sovraffollate, ma solo sotto strutturate, infatti la nostra popolazione di detenuti è nella media europea. Faccio un esempio: se ci sono due topi in una gabbia grande, è probabile che non si azzanneranno. Perciò stiamo costruendo nuove carceri" ("Panorama", 30 marzo 2000). Il paragone con i topi è ricorrente nelle parole del generale: "Non possiamo sottovalutare la forza della mafia. La sua capacità genetica di trasformarsi, simile a quella dei topi, fa sì che riemerga sempre". E così il disprezzo nei confronti dei detenuti: "Non consideriamo il detenuto come un nostro nemico perché già dandogli la patente di nemico personalizzeremo il nostro lavoro, sarebbe come se il ciabattino odiasse le scarpe" ("Famiglia cristiana", 4 dicembre 1996).
Il 12 maggio, terza puntata de "L'Espresso", con le prime indiscrezioni dai verbali di interrogatorio, da cui emergono cene con "hostess-accompagnatrici" e versioni difensive risibili: "Angelo Capriotti l'ho conosciuto occasionalmente in un bar nei pressi del ministero, ha messo a verbale Magni".
In attesa degli sviluppi e delle altre puntate, e mentre si aggiunge un filone d'inchiesta milanese che investe direttamente la Patrimonio Spa e l'amministratore delegato Massimo Ponzellini, una cosa si può già rimarcare, ferma restando la presunzione di innocenza: il silenzio dei media, "L'Espresso" a parte, e quello delle opposizioni. Rarissime le interrogazioni o dichiarazioni pubbliche, venute solo dal Ds Francesco Carboni e dal verde Fiorello Cortiana. Un silenzio assai strano. Oppure molto eloquente.