Sulmona: vietato indagare, di Patrizio Gonnella (Ass. Antigone)
Fonte: Il Manifesto, 30 aprile 2005
30 aprile 2005
E siamo a sette. Sette suicidi in due anni. Prima si ammazza la direttrice e poi in sequenza sei detenuti. Dal carcere di Sulmona è statisticamente più facile uscire morti che non per concessione di una misura alternativa. Non era mai accaduto nella storia delle galere del nostro paese che in un carcere ci fossero uno dopo l'altro sette persone che si togliessero la vita in un arco di tempo così ristretto. Vi è un ritardo colpevole di chi non si è curato di cosa stesse accadendo a Sulmona. Non si può aspettare la settima vittima per aprire un'inchiesta per istigazione al suicidio. Se un numero così alto di suicidi fosse accaduto in un qualsiasi altro contesto - condominio,scuola, ospedale, ufficio pubblico - si sarebbe mobilitata la magistratura, l'opinione pubblica si sarebbe impaurita, i media avrebbero organizzato dirette non stop, il solito criminologo sarebbe comparso nella veste di esperto da Bruno Vespa.
Sette morti suicide in uno stesso luogo, anche se questo è un luogo di sofferenze per antonomasia, lasciano il forte dubbio che non si tratti di una coincidenza. Sarà il trattamento duro, sarà un clima interno insopportabile, sarà che a Sulmona non c'è spazio per la speranza, sarà quel che sarà, ma chi oggi indaga sull'ultimo morto per istigazione al suicidio deve riaprire gli altri sei fascicoli. Lo Stato ha l'obbligo di custodire i corpi delle persone detenute assicurando - così recita la Costituzione - che non vi siano trattamenti contrari al senso di umanità.
Se una persona è entrata viva in prigione deve uscirne viva. Esiste un obbligo morale e giuridico di custodia che a Sulmona è stato disatteso. Per questo vanno messi i sigilli al carcere, per questo il carcere di Sulmona va chiuso. Va chiuso perché in quell'istituto la vita delle persone, per circostanze a noi ignote, non ha avuto fino ad oggi gran valore. A Sulmona, in diciotto mesi, hanno potuto ammazzarsi un sindaco, un mafioso, un pentito, tre detenuti comuni senza che alcuno si facesse carico dell'eventuale filo rosso tra i singoli episodi. E tutto ciò aveva inizio sei mesi dopo che si era ammazzata Armida Miserere, una direttrice che in un'intervista a Panorama si permetteva di assimilare i detenuti più o meno alle bestie. Quel carcere va temporaneamente chiuso per evitare che ci possa essere un ottavo morto.
Siccome è probabile che Castelli non darà l'ordine di chiudere il carcere, allora il minimo che si possa fare è aprirlo alla società e alla stampa. Non si può avere paura di far vedere ai giornalisti e alle telecamere quello che accade dentro, di far sentire la voce diretta di operatori e detenuti. Sarebbe questo un primo segnale di apertura, di trasparenza, di disponibilità. Va rispolverata una vecchia proposta di legge che prevedeva il diritto di accesso dei giornalisti in carcere, al pari dei parlamentari. Negli ultimi tempi le galere sono ripiombate nella loro tradizionale opacità. I sette morti di Sulmona oggi suscitano curiosità. Speriamo che provochino in tutti anche un sentimento di rabbia e indignazione.
Sette morti suicide in uno stesso luogo, anche se questo è un luogo di sofferenze per antonomasia, lasciano il forte dubbio che non si tratti di una coincidenza. Sarà il trattamento duro, sarà un clima interno insopportabile, sarà che a Sulmona non c'è spazio per la speranza, sarà quel che sarà, ma chi oggi indaga sull'ultimo morto per istigazione al suicidio deve riaprire gli altri sei fascicoli. Lo Stato ha l'obbligo di custodire i corpi delle persone detenute assicurando - così recita la Costituzione - che non vi siano trattamenti contrari al senso di umanità.
Se una persona è entrata viva in prigione deve uscirne viva. Esiste un obbligo morale e giuridico di custodia che a Sulmona è stato disatteso. Per questo vanno messi i sigilli al carcere, per questo il carcere di Sulmona va chiuso. Va chiuso perché in quell'istituto la vita delle persone, per circostanze a noi ignote, non ha avuto fino ad oggi gran valore. A Sulmona, in diciotto mesi, hanno potuto ammazzarsi un sindaco, un mafioso, un pentito, tre detenuti comuni senza che alcuno si facesse carico dell'eventuale filo rosso tra i singoli episodi. E tutto ciò aveva inizio sei mesi dopo che si era ammazzata Armida Miserere, una direttrice che in un'intervista a Panorama si permetteva di assimilare i detenuti più o meno alle bestie. Quel carcere va temporaneamente chiuso per evitare che ci possa essere un ottavo morto.
Siccome è probabile che Castelli non darà l'ordine di chiudere il carcere, allora il minimo che si possa fare è aprirlo alla società e alla stampa. Non si può avere paura di far vedere ai giornalisti e alle telecamere quello che accade dentro, di far sentire la voce diretta di operatori e detenuti. Sarebbe questo un primo segnale di apertura, di trasparenza, di disponibilità. Va rispolverata una vecchia proposta di legge che prevedeva il diritto di accesso dei giornalisti in carcere, al pari dei parlamentari. Negli ultimi tempi le galere sono ripiombate nella loro tradizionale opacità. I sette morti di Sulmona oggi suscitano curiosità. Speriamo che provochino in tutti anche un sentimento di rabbia e indignazione.